Amy Winehouse – Lioness: Hidden Treasures recensione

Dunque. Quarto disco nella top come “opening weekend” per la UK Chart in questo 2011, quasi 200k copie vendute e in America ha replicato con gli stessi numeri. Il mercato musicale ha ancora “fame” della singer inglese scomparsa lo scorso Luglio. Personalmente non l’ho mai presa in simpatia, tanto meno come artista (Rehab mi era uscita letteralmente dai coglioni), è innegabile riconoscerne i meriti di aver detto la sua, l’essere un talento. Anche in modo prepotente con la sua pasta vocale, più della sconnessa e disordinata vita privata. “Back to Black” o “Love is a Losing Game” per citare le mie preferite, sono brani che rimarranno nella storia. Ad ogni modo è arrivato sugli scaffali (digitali o meno) a inizio mese questo postumo Lioness. Ben precisare che non si tratta di un album da studio, quanto una opera di raccolta operata dagli storici Salaam Remi e Mark Ronson. Trattandosi di demo, outtakes (brani tagliati fuori dal disco finito), cover, tributi, collaborazioni e fondi di magazzino registrati tra un momento di lucidità e l’altro, avranno sudato le proverbiali sette camice per mettere in modo organico ed omogeneo il materiale a disposizione. Si deve ammettere come siano riusciti a farlo in modo magistrale, prima di tutto senza strafare nella scelta dei brani per stile e coerenza, poi il suono in termini di produzione. Certo che i tre inediti proposti “Between The Cheats” “Like Smoke” e “A Song For You” (l’ultima registrazione in ordine temporale al 2009) non danno una chiara direzione sul futuro della singer e su ciò che avrebbe portato alla musica. Del resto dal 2009 nonostante cercasse di cavare fuori qualcosa per il terzo album, oramai era già andato tutto a rotoli nella testa della Winehouse con il finale che ben conosciamo. Ma “Our day will come”, scarto di Frank del 2003, furbescamente opening track visto il periodo festivo in arrivo, è un degno epitaffio per la sua breve ma intensa carriera.

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