District 9 recensione.

District 9 è una boccata d’aria fresca per il genere fantascientifico, tralasciando la trama che non offre nulla di nuovo sotto al sole, grazie alle tante chiavi di lettura su temi sempre attuali: xenofobia, intolleranza, discriminazione (e mai riferimento più netto già dal titolo, in quanto il district six esistì veramente) ma con un punto di vista piuttosto originale ed inedito, cioè che sono gli umani a segregare gli alieni in regime di apartheid. Neill Blomkamp e Peter Jackson dopo aver accantonato Halo ampliano un corto dello stesso Blomkamp, Alive in Joburg del 2005, con ovvie tecnologie e budget diversi e nonostante i (soli) 30 milioni di dollari l’effetto è iperrealistico, superiore per effetti speciali a film ben più ricchi e blasonati. Era da un pezzo che non si vedevano su grande schermo delle creature così verosimili, anche se c’è da dar merito a tutto il contorno perchè razza aliena a parte, sono convinto che con eventualità del genere, le cose andrebbero diversamente da come le vediamo su schermo? Si richiamano tanti classici del genere come Alien Nation (1988) che all’epoca provò a immaginare una convivenza umani/alieni, le mutazioni alla Mosca (1986), i primi splatter alla Jackson con scene cruente che lasciano poco all’immaginazione, livido, cupo e pulsante come l’organico di Cronemberg ma il taglio registico strizza molto l’occhio a un film di recente produzione, Cloverfield, condividendone soprattutto il ritmo. Lo stampo documentaristico fa da collante agli eventi narrati, azione e violenza fanno il resto coinvolgendo lo spettatore, ponendo a noi gli alieni come dotati di Umanità e l’evoluzione del protagonista suo malgrado costretto a scoprire la reale razza a cui appartiene e vittima della stessa multinazionale in cui lavorava: da scienziato a potenziale e lucrosa cavia. Semplicemente entusiasmante e imperdibile.

Sito ufficiale: D-9

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