Plaid Scintilli recensione

Con una settimanina abbondante di ritardo, butto due righe sull’ultimo disco da studio dei Plaid. Fa un certo effetto ascoltarli dopo così tanti anni, belli freschi, estroversi, geniali e perfetti come quando ne sentì parlare oltre un deca di anni fa. All’epoca erano i Black Dog, come Plaid li conobbi con Rest Proof del 1999. Pilastri dell’epoca d’oro Warp, quella di un pugno di uomini che gettavano le basi dell’IDM (Intelligent Dance Music), assieme al magma pulsante dei vari Autechre, Aphex Twin ed LFO, anacrostici quanto basta per staccarsi da un marasma senza particolari stimoli, che scivolava in un flusso da basso spessore ma dettava ancora legge come la techno/rave. Lasciando da parte le parentesi soundtrack di Tekkonkinkreet (2006) e Heaven’s Door (2008), sono passati ben otto anni dal loro Spokes (personalmente il migliore del duo britannico). Scintilli si rivela un disco (ha senso chiamarli ancora dischi?!?) completo, variegato e ricco di particolarità tali da renderlo inossidabile per un bel pezzo. Non si deve per forza essere d’avanguardia ma semplicemente se stessi e un minimo aggiornati con i tempi. Scintilli offre ogni sfacettatura del genere, dalla dubstep all’ambient, cadenze esotiche, piccole escursioni glitch e pure del rave-rock. Senza dimenticare i crismi che li hanno resi fondamentali e apprezzati in questo contesto musicale. Insomma i Plaid li riconosci a un kilometro di distanza! Un suono ancora in grado di regalare emozioni, aspettando pazientemente il prossimo Aphex, di cui al momento, resta solo il silenzio.

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