recensione 1408 di Mikael Hafström.

Siamo alle solite. King è King, il Re Mida indiscusso. Se un’asciugamano portasse l’effige del nome elegantemente ricamata, ne venderebbero a frotte. Stesso discorso lo possiamo fare per 1408, trasposizione sul grande schermo di un miniracconto tratto dalla raccolta Tutto è fatidico, basta la firma dell’autorevole scrittore e se il prodotto è sufficiente ecco che arrivano entusiasmi di pubblico e critica. Rassicuro il pubblico a casa, è un filmetto thriller a sporadico stampo horrorifico. Per quanto sia interessante lo scavo psicologico di un discreto John Cusack (nei panni di un alcolizzato separato, un soggetto inedito…?) torturato più dalla morte della figlia che non dalla diabolica stanza tritacarne di turno, 1408 regala poche emozioni quanto disarmante scontatezza e prevedibilità. Se la mente dello scrittore, un “duro” delle case stregate salta dopo pochi minuti, i giochetti dello spavento facile mostrano grande limite e la sequela di eventi in cui precipita lo spettatore mi sono sembrati frettolosi per destare tensione e disagio, nonostante regia, cura scenografica e fotografia sono di ottimo livello, così come Samuel Jackson. Qualcosa si vede, qualcosa intriga, vuoi la stanza amplificatrice dei rimorsi del protagonista e il baratro dell’oblio ma francamente ci si aspetta di più. A tal proposito consiglio un raccattapalle, vi servirà per recuperarle dopo il finale.

Parafrasando lo sventurato Elsin, gli affibbio tranquillamente un teschio e mezzo…

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