recensione Evangelion Shin Gekijōban Rebuild 3.0 Q: you can (not) redo

E così mi aggiungo alla folta schiera di fanboy dell’universo EVA che giovedì scorso ha potuto godere della monoproiezione, unica data in tutta Italia, made in Nexo Digital (mymovies, radio deejay, mtv ondemand, dynit, insomma una miriade di partners) di un attesissima terza parte della tetralogia Rebuild of Evangelion, rivisitazione dell’anime originale con nuovi contenuti e diramazioni completamente diverse della trama a cui siamo abituati. Le premesse erano altissime, forti di due capitoli precedenti ben gestiti nell’arco del climax narrativo, in particolare il secondo quando ci si comincia a staccare dalla serie classica. Benchè in origine era pensata come una trilogia, con l’ultimo capitolo suddiviso ulteriormente per macinare incassi (Q e Final) vi era tempo e materiale per consegnare ai fan di lungo corso quella occasione indelebile così tanto bramata. Mai così lontani da ciò, una verità che prende corpo e forma dolorose. Q si rivela un incredibile passo falso, un film dalla dubbia utilità se non giustificare l’ennesimo impact per il perfezionamento del genere umano, gli unici 30/40 minuti salvabili con il resto da buttare. Hideaki Anno non sa quello che vuole e non sa quello che fa. Di certo si nota come Q sia stato scritto dopo aver terminato il secondo lungometraggio e senza una idea complessiva dell’intero progetto iniziato nel 2007, una cattiva abitudine che Anno continua a perseguire. Partiamo da una apocalisse che di fatto ha spazzato via la razza umana (third impact), per l’egoismo di Shinji a volersi unire via EVA con Rei, nell’intento di salvarla. Lo spettatore verrà immediatamente proiettato dentro un timeskip completamente inedito e spiazzante. I personaggi come li conoscevamo sono profondamente cambiati, anche nell’aspetto e questo funziona, le agognate frontiere inesplorate e una buona inquietudine di fondo sugli sviluppi. L’euforia dura pochissimo. Manca Shinji e ogni fan di EVA sa che quando arriva sarà una noiosa palla al piede. Viene tirato fuori di prigione da un manipolo di sopravvissuti con a capo una Capitan Harlock Misato perchè in grado di attivare lo 01 il quale verrà impiegato dal Wunder (la nave di Misato) come fonte di energia e non come arma. Il sarcofago preparato dalla Seele viene recuperato dopo una lunga sequenza d’azione pomposa ma ben realizzata. Shinji si trova catapultato nel buio assieme allo spettatore, entrambi lasciati spaesati in un setting di 14 anni dopo il third impact. Sentimento che a malapena si risolve mentre il mosaico si compone, in un recap di insieme (intorno alla 3/4) nei quali scorci troviamo gli unici momenti riusciti. Ora il dramma. Shinji riflette, come solito l’estensione della personalità del regista, i suoi sensi di colpa, gli errori, i mille perchè e tenta come sempre di mettervi una pezza, tornando a fallire. Un loop senza fine. Lasciato senza una adeguata preparazione psicologica nei due capitoli precedenti dove interveniva il giusto, Anno ha voluto recuperare mettendolo definitivamente al centro. Con orrore e aberrazione mano a mano che il tempo scorre, torna come un pugno in faccia la snervante regressione sul tedioso, logorroico e depresso protagonista. Non vi è un percorso di crescita ma sempre una involuzione che esposta in questo modo arriva nei pressi del ridicolo. Ruba la scena per tutta la parte centrale ponendo a margine il resto del cast che sino ad ora aveva retto, cambiati quanto basta per non renderli irriconoscibili in particolare Mari (ancora non sfruttata appieno) e Asuka ridimensionata ma sempre in grande spolvero, benchè dica sempre “sei solo un bamboccio Shinji”, insieme costituiscono una coppia irresistibile. Rei sembrava a un buon punto nel suo percorso di umanizzazione ma subisce un reset sin troppo radicale, diventando metaforicamente peggio di una pera di eroina tagliata male. Su Kaworu il duetto pianoforte (echi di Death & Rebirth alquanto fini a se stessi) che sfocia in ammiccamenti (e inquadrature palesi) saffici non è materiale delicato (nelle intenzioni) quanto inopportuno. Nulla da aggiungere sul fronte Gendo e Fuyutsuki, abili a manovrare i fili e determinati, nonostante si vedano davvero poco. Insomma le manie di protagonismo del regista li pongono tutti a semplici comparse siccome Shinji non molla. Il film crolla sotto quel peso di così tanto male di vivere, una insistente analisi che sfiora l’insopportabile e capace infine di scoprire l’intera ossatura di Q, la quale scricchiola. La base resta accattivante ma lo script mostra davvero tanti limiti, pieno di molteplici particolari che si contraddicono e lasciano senza spiegazioni alimentando all’inverosimile le speculazioni dei fan in cerca di decifrarne i contenuti. Di avviso opposto le scene di azione e la maestria tecnica nell’animazione e l’immancabile score di Sagisu. Una garanzia.
Anno frustrato come non mai ci fa patire tanto dopo questo soffertone e non credo che gioverà all’economia della saga (a vedere il rating su imdb, Q è il peggiore). Da fine quest’anno il Final slitta a imprecisato 2014. Forse non è un caso. Recuperare quanto lasciato dall’incompiuto 3.0 sotto quasi ogni punto di vista, sbrogliare la criptica matassa e riscrivere l’ending della serie, adesso si dimostra una operazione abbastanza difficile e dall’esito incerto.

Lascia un commento