Recensione Grindhouse: a prova di morte.

Quentin Tarantino. Prende appunti a Cannes durante una lezione di Scorsese sul cinema (non lo prende per i fondelli, nonono :mrgreen: ) e giustamente ci fa notare che in Italia siamo deprimenti se la nostra massima espressione confluisce solo in lucchetti e vacanze di Natale. Occorre aggiungere altro?
Comunque…
Partiamo dal presupposto che la politica commerciale (mista a censura) in Europa ci ha messo lo zampino arrivando a:
-spezzare in due il progetto originale (l’episodio di Rodriguez, Planet Terror, per ora è fissato a fine Luglio)
-eliminare i fake trailer di intermezzo al gusto slasher+gore in quantità (di Rob Zombie e Eli Roth tanto per precisare dove si andava a parare)
-allungare il cut originale dell’episodio di oltre 40 minuti
benchè sono operazioni riflesso del flop statunitense la corsa ai ripari secondo me vanifica l’opera nell’insieme che voleva essere un omaggio ai b-movies horror d’azione in voga negli anni ’70, easy fun all’ennesima potenza.
A prova di morte è un esercizio di stile che esalta tecnicamente le migliori qualità del regista americano: fotografia sporca e rovinata, audio gracchiante, tagli approssimativi e colonna sonora (come sempre) ricercata enfatizzano l’atmosfera e contribuiscono a creare una regia ferma e meticolosa. Superlativo quando cita se stesso (regalandosi l’ennesimo cameo), in particolare da Kill Bill, non si può negare la bravura manicale del dettaglio e il tentativo di proporre qualcosa che vada fuori dagli schemi. Trash colto e di qualità, godimento. A tanti elogi occorre fare i conti con quello che la macchina da presa maschera, ovvero il risultato nel complesso non diverte come ci si aspetta direi piuttosto freddo e dispersivo. Prolisso e monco di quella alchimia grottesca ed esagerata che ho sempre trovato in Tarantino, la pazienza viene scalfita da monologhi diluiti e pallosi, che funzionano fino a mezzogiorno. A corrente alterna, incostante: se nel primo tempo si gettano le basi per il il personaggio di Mike (un Russel da incorniciare), un ritmo esagitato e di corsa (barocco e fracassone) come gli ultimi 15 minuti sono almeno d’obbligo. Mentre da antologia rimane l’unico botto con le frattaglie che volano e qualche applauso nel sadico gioco della vendetta sul finale, l’ironia del cacciatore che diventa preda. Troppo poco e il paleativo degli omaggi cinefili è cool ma fine a se stesso.

Da vedere con le dovute riserve.

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