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Perfume – JPN recensione

Uscito a fine Novembre ho lasciato scorrere qualche giorno per metabolizzare al meglio il quarto album da studio delle Perfume. J-Pop nipponico di ottima fattura, il disco offre poche novità, parliamo di 7 brani inediti su 14, dove The Opening vale fino a mezzogiorno, due in versione album (Glitter e Laser Beam) leggermente diverse dalla controparte singola, suonano anche meglio se mi posso permettere. Il motivo è semplice siccome da oramai un anno e mezzo si sparano fuori singoli in doppia side (la partenza dettata da Fushizen na girl/Natural ni koishite) ovvero due canzoni compresa una versione senza cantato per i fan del karaoke o come me gli appassionati critici della semplice produzione (superba nel suo genere) del pezzo che la voce spesso offusca, JPN nonostante i pezzi grossi li abbiamo già sentiti, alla fine non delude. Fresco e ballabile, motivetti idioti orecchiabilissimi, un apice musicale for fun di “pura putenza” elettronica meccanica, robotica, meticolosa al servizio del pubblico che godrà delle trame tessute, compresi brani inediti come Have a Stroll o Kokoro no Sports, entrambi papabili future hit. Suona molto bene a tal punto che Triangle (2009) perde lo scettro di album consigliato per cominciare a esplorare il trio Ōmoto/Nishiwaki/Kashino. Ok ho un debolone per Yuka Kashino. Dicevo, VOICE vale da solo l’intero prezzo del biglietto. Quindi le Perfume sono una istituzione in nippolandia, spaccano di brutto e se non vi piacciono non capite un cazzo di musica. Punto. 😀

Plaid Scintilli recensione

Con una settimanina abbondante di ritardo, butto due righe sull’ultimo disco da studio dei Plaid. Fa un certo effetto ascoltarli dopo così tanti anni, belli freschi, estroversi, geniali e perfetti come quando ne sentì parlare oltre un deca di anni fa. All’epoca erano i Black Dog, come Plaid li conobbi con Rest Proof del 1999. Pilastri dell’epoca d’oro Warp, quella di un pugno di uomini che gettavano le basi dell’IDM (Intelligent Dance Music), assieme al magma pulsante dei vari Autechre, Aphex Twin ed LFO, anacrostici quanto basta per staccarsi da un marasma senza particolari stimoli, che scivolava in un flusso da basso spessore ma dettava ancora legge come la techno/rave. Lasciando da parte le parentesi soundtrack di Tekkonkinkreet (2006) e Heaven’s Door (2008), sono passati ben otto anni dal loro Spokes (personalmente il migliore del duo britannico). Scintilli si rivela un disco (ha senso chiamarli ancora dischi?!?) completo, variegato e ricco di particolarità tali da renderlo inossidabile per un bel pezzo. Non si deve per forza essere d’avanguardia ma semplicemente se stessi e un minimo aggiornati con i tempi. Scintilli offre ogni sfacettatura del genere, dalla dubstep all’ambient, cadenze esotiche, piccole escursioni glitch e pure del rave-rock. Senza dimenticare i crismi che li hanno resi fondamentali e apprezzati in questo contesto musicale. Insomma i Plaid li riconosci a un kilometro di distanza! Un suono ancora in grado di regalare emozioni, aspettando pazientemente il prossimo Aphex, di cui al momento, resta solo il silenzio.

Visioni casalinghe trashissime

Quando si tratta di horror super trash, i giapponesi non li batte nessuno!!! Per riempire la quotidianità di questo simpatico nullafacente Agosto, mi sono buttato su un filone che conoscevo ma non avevo approfondito come si deve. Mi limiterò al trittico qui sopra, se anche voi siete un pò sotto tono e avete voglia di un film che fa dell’ultra violenza splatterosa una totale forza parodistica tale da far sputtanare, rigorosamente a bassissimo costo e non dimentichiamo spruzzate di sane arti marziali, cercate su google uno dei tre titoli qui sopra seguito da streaming ita… Sì bastano questi tre, tanto per evitare la ripetitività, un pò come i j-horror una volta inquadrati i 4/5 migliori, è sufficiente. Allora sono Machine Girl, Tokyo Gore Police e Vampire Girl vs. Frankenstein Girl. E buona visione! Ah per evitare di farvi perdere tempo (ma come sono buono oggi) vi lascio con un trailer, così avete una idea di cosa vi sto proponendo ehehehe…

Sucker Punch recensione

Zack Snyder è senza ombra di dubbio tra i miei registi contemporanei preferiti. 300 in primis, Watchmen su tutti. Ga’Hoole discreto. Sucker Punch è il prodotto personale della sua testa, fin dalla sceneggiatura. E’ un pazzo visionario. L’ha dichiarato lui stesso:  «la cosa più folle che abbia mai scritto» e un «Alice nel Paese delle Meraviglie con le mitragliatrici». Viva la coerenza, che fa di lui un filmmaker  genuino. Di sicuro Sucker Punch non è facilmente codificabile ad una sola visione, c’è tanta roba e di qualità. Realizzazione eccelsa, superlative scene d’azione, egregio calcolo millimetrico su ogni inquadratura e sequenza, coreografia barocca. Di stile ce n’è tantissimo. Attrici principali bellissime da vedere e brave, miscela esplosiva di azione. Un film potente. Scoppiettante. In mezzo a questo calderone, Snyder ha cercato di infilarci di tutto, di più, anche troppo. Prende spunto da film immancabili per il genere (il Signore degli Anelli, Matrix, Kill Bill per citarne alcuni), gli applica un taglio tipicamente da videogioco (e altre citazioni come i nazi-zombi di Wolfenstein ad esempio) ci infila la vendetta, il sacrificio, l’analisi psicologica. Come se non bastasse con la sua chiave di lettura e realtà parallele, dove lo spettatore è il protagonista, colui che idealmente tira i fili (cioè da la sua interpretazione). Difficile tenere incollato lo spettatore medio (che non ci capirà una mazza annoiandosi) e incanalare per bene un fiume del genere.  Mi ha lasciato così alla fine 😐 e il retrogusto di esser fine a se stesso. Sarà stata la serata, cervello a corrente alterna, che  ne so. E’ mancato qualcosa, la creatività a briglia sciolta di Snyder è stata troppo veloce. Titolo scelto azzeccatissimo. Colpo improvviso, non esiste una traduzione letterale. Aspetto la versione estesa in Bluray che concederà ampio respiro e rigorosa giustizia. In ogni caso da non perdere.

District 9 recensione.

District 9 è una boccata d’aria fresca per il genere fantascientifico, tralasciando la trama che non offre nulla di nuovo sotto al sole, grazie alle tante chiavi di lettura su temi sempre attuali: xenofobia, intolleranza, discriminazione (e mai riferimento più netto già dal titolo, in quanto il district six esistì veramente) ma con un punto di vista piuttosto originale ed inedito, cioè che sono gli umani a segregare gli alieni in regime di apartheid. Neill Blomkamp e Peter Jackson dopo aver accantonato Halo ampliano un corto dello stesso Blomkamp, Alive in Joburg del 2005, con ovvie tecnologie e budget diversi e nonostante i (soli) 30 milioni di dollari l’effetto è iperrealistico, superiore per effetti speciali a film ben più ricchi e blasonati. Era da un pezzo che non si vedevano su grande schermo delle creature così verosimili, anche se c’è da dar merito a tutto il contorno perchè razza aliena a parte, sono convinto che con eventualità del genere, le cose andrebbero diversamente da come le vediamo su schermo? Si richiamano tanti classici del genere come Alien Nation (1988) che all’epoca provò a immaginare una convivenza umani/alieni, le mutazioni alla Mosca (1986), i primi splatter alla Jackson con scene cruente che lasciano poco all’immaginazione, livido, cupo e pulsante come l’organico di Cronemberg ma il taglio registico strizza molto l’occhio a un film di recente produzione, Cloverfield, condividendone soprattutto il ritmo. Lo stampo documentaristico fa da collante agli eventi narrati, azione e violenza fanno il resto coinvolgendo lo spettatore, ponendo a noi gli alieni come dotati di Umanità e l’evoluzione del protagonista suo malgrado costretto a scoprire la reale razza a cui appartiene e vittima della stessa multinazionale in cui lavorava: da scienziato a potenziale e lucrosa cavia. Semplicemente entusiasmante e imperdibile.

Sito ufficiale: D-9

Ken il Guerriero: la Leggenda di Raoul.


La leggenda di Raoh II: lo scontro senza fine

Se vi siete chiesti che fine abbia fatto la leggenda di Julia, poco male: è recuperabile in qualche scaffale perchè destinata al mercato home video. Scelta condivisibile vista la cortissima durata e per una visione dell’ultimo generale di Nanto, di utile contorno per gli appassionati ma francamente poco incisiva nella sua interezza, non a caso in giappone è un OAV, ovvero un anime creato appositamente per l’home video. Riassumendo l’intera pentalogia è strutturata in modo che il terzo capitolo è a tutti gli effetti un film per il cinema, poi ci aspetta un altro OAV (Toki, in giappone è uscito a marzo 2008) e infine l’ultimo film, (Kenshiro, uscito in giappone a ottobre 2008). Bizzari i jappi! Ecco così che Mikado ci porta in sala la leggenda di Raoul e come ci suggerisce il nome la storia vede le strade del Re e del Maestro di Hokuto incrociarsi per giungere allo scontro finale. Stavolta assistiamo a meno combattimenti (comunque presenti in giusta misura e spettacolari, condita della solita violenza) più sostanza narrativa e la rivelazione di chi è effettivamente l’inedita Reina vista nel primo episodio. A conti fatti l’attenzione si sposta solo nella porzione conclusiva della prima serie TV (e uno scorcio sull’Isola dei Demoni), coprendo un lasso temporale meno ampio lasciando spazio al dovuto omaggio alla figura di Raoul, una analisi intimista del Re. Piaciuta l’animazione ma ho trovato maggiore spettacolo in Hokuto, ad ogni modo funzionale e senza eccessi. Come per Hokuto non si concedono sconti a chi mastica poco delle gesta del fumetto/anime, pertanto una piccola rinfrescata si rende necessaria. Per tutti i fan un immancabile appuntamento.

Uomini che odiano le donne recensione.

Non ho mai letto un libro di Stieg Larsson. Ad essere onesti non leggo praticamente mai dei libri in generale, figuriamoci se si tratta di opere che vengono poi trasposte a film. Da un lato non è poi un così grosso difetto, ammetto che la mancanza permette di non dover valutare se adattamento sia più o meno riuscito, aderente e cose del genere. In effetti temo sia questo il motivo di una critica non proprio entusiasta leggendo in giro. Cominciare a separare il cartaceo dalla celluloide dovrebbe essere oramai il minimo prima di entrare in sala siccome per ovvi motivi non si riuscirà mai a fare un film in grado di accontentare tutti i lettori, i quali si sentono delusi e smarriscono lo sforzo nel preservare l’idea originale dell’autore, qui fortunatamente presente. Per inciso non parliamo di picchi di eccellenza, la summa massima di originalità, ma la trasposizione è ben confezionata, il puzzle della storia scorre senza intoppi e non si corre il rischio di perdersi dei pezzi per strada, il che per un thriller è il minimo. Troviamo un ritmo teso a non annoiare e in grado di suscitare curiosità quanto basta per vedere come andrà a finire. Insomma un ottimo film, cruento quando serve ma meticoloso e che consiglio di andare a vedere in questo periodo un pò avaro di uscite interessanti.

Star Trek XI

Ed eccomi qui bello fresco fresco da anteprima. Cominciamo subito con il mettere in chiaro che i fan di vecchio corso potranno andare tranquilli alla visione. J.J. è sempre stato un grande appassionato e ha trattato con grande rispetto e omaggio i canoni classici della serie (noterete tante piccole chicche come la Kobayashi), dando però una spinta in più. In effetti la prima parte (dopo l’esaltante scontro con la nave Romulana capitanata da un bravissimo Erik Bana) mi aveva lasciato freddo, troppo fracassone e casinista, mi sono detto figuriamoci il resto. Invece l’incipit è servito per preparare il terreno, a far capire che Kirk è il capitano votato all’azione d’istinto, espansivo, noncurante delle regole se necessario. Lontani anni luce dalla razionalità di un Picard, elegante e posato. Con lo stile alla Kirk (ri)troviamo la chiave di volta, tutto il film è scoppiettante ma non solo botte da orbi e distruzione, un pò di ironia che non guasta e una mezza sequenza di quasi sesso, quanto una bella trama ricca di risvolti temporali che riassumono in ogni senso la tagline “Il futuro ha inizio”. Poco importa se i membri dell’equipaggio fantascientifico più amato della storia faranno il loro ingresso con l’accelleratore, concedendo poco spazio allo scavo psicologico. Sono bravi e credibili, al tempo stesso Abrams mantiene il giusto equilibrio in grado di accontentare il pubblico che sa cosa vuol dire la logica vulcaniana quanto essere totalmente profani all’universo trekker. Prendendosi le solite libertà senza strafare (come lo Slusho, paradossi temporali alla Lost, il mostrone lontano parente di Cloverfield e tanto altro…) e con un taglio registico eccellente in grado di tenere il ritmo per tutta la durata, senza cali nè banalità. Insomma il quartetto dei Bad Robot (Abrams, Orci, Kurtzman e Lindelof) non hanno deluso le aspettative ma forniscono di linfa vitale un franchise che andava avanti da più di trent’anni e sembrava non avesse carte ulteriori da giocare. Come Shatner diede il testimone per un nuovo filone di film trekkiani per il grande schermo in Generazioni, Nimoy eterno protagonista della serie battezza questo inizio: svecchiato, con stile, una ripartenza a massima curvatura! Da non perdere.

changeling recensione

Dico fin da subito che la visione non mi sfagiolava nemmeno un pò. Una storia vera (salvata appena in tempo da Michael Straczynski) con teatro la Los Angeles anni ’20 corrotta fino ai vertici e una madre che lotta contro questo potere per riavere il suo vero figlio. Dal mio punto di vista il canovaccio è di marginale interesse. Ma alla fine il buon Clint lo si va sempre a vedere, perchè resta uno dei grandi registi viventi in circolazione. Fuori discussione. Sarà coadiuvato dai soliti amici come Tom Stern alla fotografia o Roach al montaggio che garantiscono il risultato visivo. Vuoi perchè le splendide e malinconiche musiche son sempre sue, che pennellano un cinema ben caratterizzato ed inizialmente lento. Lento a tal punto che non nego un pò di smarrimento. Poi come ci ha abituati, arriva il destro nello stomaco, con una svolta imprevista che riprende temi già esplorati ma sempre di grande forza emotiva come la pena di morte, la violenza verso i più deboli, lottare. Man mano che i pezzi si mettono insieme viene fuori tutta la completezza riflessa in uno stile impeccabile, dalla regia pulita e classica, retto da un cast sapientemente orchestrato tra cui spicca una Jolie in grandissima forma. Eastwood conferma se stesso e continua ad andare a caccia di Oscars, ma nemmeno questa è una novità, non certo per l’acclamo generale a Cannes.
Chiaramente imperdibile.

Ken il Guerriero: La leggenda di Hokuto.


La Leggenda di Raoh: Martiri dell’Amore

Sarebbe stato un imperdonabile erorre lasciarsi sfuggire la possibilità di vedere al cinema il lungometraggio di uno tra i personaggi più famosi dei “cartoni” animati anni ’80. Kenshiro è entrato prepotentemente nel collettivo all’epoca con la sua storia fatta di ideali, onore, sangue, violenza, arti marziali, corpi esplosi, personaggi enormi e cattivissimi. La Leggenda di Hokuto però non è una trasposizione pari pari della vicenda come la conosciamo, quanto un salto diretto alla saga della Piramide del Sacro Imperatore, incentrandosi sulla figura di Raoul, il maggiore dei tre fratelli di Hokuto e le motivazioni che spingono il Re alla guerra per conquistare il mondo e fondare un nuovo ordine. Un cambio di prospettiva importante per infondere nuova linfa alla serie apparsa 25 anni fa. L’introduzione di personaggi inediti come Reina (scomodato Tsukasa Hojo, City Hunter, per l’occasione) ben si integrano nella storyline ma per ovvi motivi di tempo (90 minuti) gli sceneggiatori hanno dovuto comprimere (sembra di guardare il film con il fast-forward) e togliere di mezzo elementi più o meno importanti che possono lasciar spaesati chi non ha la visione complessiva (manga, serie TV) del mondo post atomico di Buronson e Hara. L’anime originale costruito attraverso tanti episodi, unico meccanismo in grado di dare profondità psicologica e meticolosità agli eventi, possono rendere a prima vista “La leggenda” sbrigativo e monco ma ricordiamoci che è il primo di una pentalogia. Il posto per Shin, Julia, la genesi di Ken e molto altro troveranno sicuro spazio in futuro e solo al termine avremo una soddisfacente visione d’insieme. Caratteristica fondamentale la riflessione dei dialoghi piuttosto che il lato puramente gore e truculento (sapientemente dosati), scelta giusta per renderlo godibile e non una sequela di combattimenti, uattattà inutili e alla lunga noiosi. Tranquilli, non mancheranno le celebri frasi alla “sei già morto ma non lo sai” oppure i post-punk schicciati dagli zoccoli di Re Nero, qui elevati a puro omaggio per i fan storici. Come animazione restiamo su altissimi livelli, il look è stato aggiornato (passa un Raoul con capelli bianco platino?) pur restando fedele al classico. Punto di vista eccepibile, compresa la BGM (background music) non invasiva in grado di sostenere i momenti salienti (chicca per gli appassionati lo spolvero di YOU HA SHOCK, tema originale della prima serie), doppiaggio italiano professionale e ben adattato. Lode quindi a Yamato Video e Mikado Film, già coraggiosi nel portare sul grande schermo il celebre Castello di Cagliostro e tentare così di uscire dai soliti Miyazaki, Satoshi Kon, Rin Taro, nomi di garanzia ma piccoli spot di fronte all’enorme produzione animata giapponese. Una politica che fortunatamente trova riscontro in termini di incassi tanto da portare al cinema anche i restanti episodi. Evviva!

Video Games Live: Volume One.

La bolla africana calda ammazza ogni sentore di creatività per queste pagine, anche se da stasera torno in ferie fino a sabato mattina. Zio can, sabato mattina, ma capite che storia???
Stavo per sloggarmi da wordpress quando ecco che mi capita a tiro la notizia che un certo album di classica con i temi dei videogiochi più famosi è balzato in decima posizione sulla Billboard Statunitense. Di cosa si tratta? Di un tour itinerante con tanto di spettacolo multimediale (luci, colori, big screen) di temi suonati dal vivo da una orchestra sinfonica, un successo tale da giustificare un disco, prontamente registrato nei mitici Abbey Road Studios sotto EMI Classic (mi pare ovvio). Così le musiche di Halo, Metal Gear Solid, Warcraft, Tetris, Myst, la tracklist completa la troverete qui, prendono una grande magia. Non male come idea, benchè sono assenti temi veramente memorabili come Zelda, Mario e tanti altri ma se consideriamo i consensi di critica e pubblico, quel volume one, lo spettacolo continuerà sicuramente.