Journey recensione

Due pensieri sono assolutamente dovuti a Journey, l’ultima fatica dei That Game Company. Sulla falsariga dei precedenti Flow e Flowers, questa piccola software house ha sempre avuto un approccio diverso al modo di interpretare il medium videoludico ovvero mettere in primo piano lo stimolo emotivo dell’utente finale, principalmente con suoni e colori. Non necessariamente evoluzioni in termini di gameplay e level design. L’originalità ancora esiste nei videogiochi e Journey eleva al massimo questa filosofia. Come dissi nella preview della beta la scorsa estate, cos’è infine? Sperimentazione? Arte? Non saprei. Difatto faccio fatica a contestualizzare la scheda odierna. Abbiamo un canovaccio risibile e criptico, storia introspettiva di un viaggiatore, la sua civiltà e cosa ne è rimasto. Poi si allargherà l’angolo di visione sul senso della vita, la ricerca di una verità. Per chi si lascerà condurre troverà un continuo solleticare di emozioni e stupore di fronte ai paesaggi grazie ad una direzione artistica fuori parametro. Forte di un accompagnamento sonoro sublime quanto nel silenzio, utile per ritrovare se stessi e continuare verso quella montagna luminosa. Oppure semplicemente per rilassarsi dopo il frastuono quotidiano e ritornare in quelle distese. Probabilmente niente di tutto ciò. Ognuno darà la propria interpretazione. Sul versante ludico si salta, si esplora e… basta. Dovremo recuperare qualche glifo per allungare la sciarpa contenente la luce necessaria da impiegare in volo e la pressione di un altro tasto per caricare/richiamare delle creature di stoffa per farci balzare più in alto… Il multiplayer esiste ma è essenziale, della serie tutto d’un tratto un alone bianco a bordo schermo ci dirà che non siamo soli. Mai sapremo il nome del nostro compare almeno fino ai titoli di coda e sarà nostra scelta (così come da parte sua) se dividere o meno il viaggio. Niente messaggi o altro. Solo un tasto per comunicare la nostra gioia nello scoprire la strada, ricaricare a vicenda la sciarpa o segnalare un glifo, perlomeno io l’ho interpretato così. E vi garantisco che in due decadi e mezzo di videogame non mi era mai capitata una intesa così profonda. Credo sia sufficiente. A meno che non abbiate il cuore di marmo o non sappiate cogliere poesia, Journey nelle sue tre ore (cmq rigiocabile almeno per i trofei) sarà irripetibile. Il trasporto in un mondo magico, mistico, unico. Se valutate durata e qualità in base allo speso non vi biasimo. Ma perdereste qualcosa in grado, forse, di migliorare voi stessi.

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