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Lost Painting, come la ballata dell’uomo stanco sull’isola dei morti.

Se non ti decidi, il mondo muore. Perché nella sostanza il succo è tutto qui. Se si va in disagio ogni volta che apro il mio cuore, non si va da nessuna parte. Ok, è l’ennesima caduta nel pantano per una donna. Ma come dire se siete qui a leggere vuol dire che amate condividere una parte del mio masochismo. E dovuto per essere un diavolo di Scorpione che annega e nuota nel malessere. Il passato non deve condizionare il presente. Non scelgo mai donne facili, se lo sono non mi interessano. Ne ho conosciute tante nella mia carriera ma dopo una botta iniziale da vero zerbino, quando scende vedo le cose in mood chiaro e devo trarre le conclusioni. Che bello se mi avesse conosciuto con decadi in meno, ero molto più devastato ma altrettanto stimolante. Una figata bohémienne che almeno faceva divertire, con il capello sciolto, colto e la parlata fluente. Oggi sono solo un vecchio stronzo fuori tempo massimo, che monta un cappello da fighetto della Carharrt , mantiene uno slang giovane, sta in tiro con la tecnologia ma alla fine è solo un poveraccio senza posto e che infila un paio di battute alla naftalina scariche per strappare due risate e a fine serata al massimo si chiude davanti a pornhub con una sega per scaricare l’ormone e a dormire che Lunedì è già dietro l’angolo. Brutto stare soli, credo però non vi sia scelta, vuoi per la pandemia, vuoi per essere fuori posto. Mi dicono di allargare lo sguardo, sarebbe bello dirmi dove siccome un uomo come me non ha molta scelta visto che sparare nel mucchio vuol dire sparare nella merda del nulla. Oggi in negozio è passata una vecchia amica, deve essere molto vera e vorrei mettere agli atti che all’apparenza sarebbe solo da accartocciare per il suo essere così superficiale a prima vista ma alla fine le persone meno improbabili, si rivelano veri appigli, quando le conosci a fondo. Perché non ci ha girato intorno, mi ha chiesto psicologicamente come stai, Eldo? Bene le ho risposto, ma la realtà resta diversa. Non mollo. Non bisogna mai mollare nemmeno quando il mondo è a pezzi. Prima di morire. C’è sempre una via di fuga, una luce da seguire quando tutto intorno a te é buio come il vuoto cosmico. Non ti salverà il commiserarsi, ma bisogna cercare il lato positivo. E se lei mi chiede se sono in quel momento in cui dovrei mandarla affanculo, semplicemente non lo farò. Perché l’ho desiderata anche se non mi era permesso, la desidero ora che sono solo e la desidererò sempre perché è una persona davvero speciale.

Alla fine è questo ciò che mi mette in pace con me stesso.

Il quindicesimo colpo

Il quindicesimo attacco finale che colpisce il petto dell’avversario, è fatale.

Un sacco di cose cominciano a pesare. Sono quasi alla soglia dei 15 colpi dello scorpione, ancora una volta, Antares. Che la mia vita sia andata in vacca oramai è ineluttabile, qui il 2020 ha distrutto quasi ogni sfera. Sentimentale in primis poi la sanità mentale e infine la casa, per fortuna sono in affitto. E’ una prova durissima da reggere quando tutte le certezze personali cadono uno dopo l’altra. Affetti, famiglia, amicizie, lavoro. E non hai appigli e devo concentrarmi sul poco che ti resta: satira di fondo, scherzare e sorridere. Dal punto fisico potrebbe migliorare la situazione, sicuramente scaricare del sesso, come uomo le tossine si accumulano con il passare delle settimane e giustamente l’evoluzione ancestrale preme per corrispondere il dovuto spargimento di seme. Questa è pura antropologia. Ma sai com’è, non c’è trippa per gatti. Poi ci si mette il classico da buon scorpione quale sono, scopare non basta, non ci vado a puttane. Devo conoscerla la persona, la donna, il suo odore, il suo sapore, il suo umore, sintonizzarmi. Non so che farmene del semplice scaricare. Voglio di più, la voglio di più. Il controllo della mente e entrarle prima di tutto nell’anima, non solo nel suo corpo. La millimetrica capacità di erodere le sue difese al punto che le endorfine facciano il loro effetto è un obiettivo che offre una soddisfazione fuori scala. Il gioco della seduzione per me deve essere mentale, non fisico. La fisicità appassisce, si accartoccia, si deprime. La personalità resiste e deve prevalere. Sono davvero vicino ai 15 colpi dello scorpione. Attacco per difendere la Casa, ma sono fuori tempo massimo. Ammetto di non avere la freschezza dei vent’anni, la spinta e la tenacia. Sono lento e prevedibile, lei è troppo brava. Applicare un metodo che andava nei primi anni duemila non funziona con questa generazione. E’ una donna difficile e interessante. Ti tratta male, non lo fa con cattiveria. Ma calpesta e ti fa a pezzi con la lunghezza di un periodo durante uno scambio su whatsapp. Sono caduto nell’imperdonabile errore di volerle oltre il bene e questo mi espone di fronte alle mie debolezze, come trovarsi in un contrappasso dantesco. Sono accecato e attratto dal suo carattere, da quello che scrive, le sue sinapsi oramai fottute, dai suoi sogni e da quello che nasconde sotto quella misantropa scorza, da quella bolla in cui si trova che non vuole condividere con nessuno. Sono accecato e attratto dal suo sguardo e dalle sue forme che mi mandano direttamente in brodo di giuggiole. Ma non serve, tratta tutti così. Sento che con me è diversa la bazza o credo mi illuda di questo e stop. E non riesco a capire se applica l’operandi e lo fa con la voglia di tenermi lontano q.b. per non ferirsi, per la paura di perdermi se qualcosa va storto o se non capisce un cazzo. O vorrebbe ma si blocca per il suo carattere orribile. Non ce la fa a gestire le altre persone ma sono pronto a prendere il pacco completo così com’è, la voglio così e non la cambierei per niente al mondo. Sa che sono uno scorpione e essere permaloso ed egocentrico sono solo la punta dell’iceberg, duro a mollare.

Al termine dei 15 colpi dello scorpione, potrei davvero mettercela tutta per colpire il suo petto e metterla fuori gioco dalla mia vita, ma so che farebbe malissimo e non riesco a sopportarlo.

Lancio il colpo ma arretro di un millimetro così da venire colpito e battuto. Senza sorta. Senza soluzione. Vai avanti e lasciami qui. Del resto sono uno scorpione, prima o poi passerà. Rinse and repeat.

Back and forth

Rilasciate il Kraken
Rilasciare il Kraken è sempre un errore…

Fa un certo effetto tornare da queste parti dopo 8 anni diciamo dall’ultima produzione coerente ed è ancora più da effetto sapere che nessuno leggerà queste righe, a parte tu ignaro lettore di passaggio. Non saprei nemmeno cosa dire di così importante nonostante tutto, vuoi perché la mia comfort zone così duramente conquistata è andata a farsi fottere in meno di due mesi, vuoi che la vita come un sucker punch ti tira il muro con i conti da mettere con la somma di un anno da Covid-19 e lavoro che va a rotoli. E giustamente non ve te frega un cazzo, peccato dato che ci sarebbe da scrivere un romanzo. E so che continui a leggere. Quindi vado avanti, vuoi che di punto in bianco vieni lasciato, così in blocco quando tutto era pronto per il grande passo, sbram a puttane per motivi talmente deboli che non ne vale nemmeno la pena capirli, vuoi che l’unica persona dove manco una epifania nel cervello ti fa rendere conto che ti interessa davvero, la punti da anni e ovviamente arriva il picche e ti invita di lasciarla perdere e anzi è l’ultima su cui io dovrei puntare, quando dopo due conti (se li facesse) si renderebbe conto che potrei essere il partner giusto visti gli innumerevoli punti in comune. Io a misantropia contro il resto del mondo sono un Gran Maestro e l’età non sarebbe un problema. Sarebbe quasi da sposare, in Comune attenzione, sono sempre agnostico. Ma vabbè, amen, rien ne vas plus, c’est la vie, mi innamoro sempre di chi non se lo merita e devo contenere la cosa o faccio solo danni. Poi risalta fuori lo scorpione cocciuto che non molla mai o meglio non vorrebbe mollare mai. E qui si fa avanti il solito annoso problema che si ripete ogni volta pensi di ripartire da una storia sfasciata in cui sei triste protagonista, guardi e vedi che il set di carte nel mazzo da giocare sono finite e la mano è realmente pessima. Praticamente un concedere con stretta di cortesia e inchino incorporato senza se e senza ma, la sportività di abbandonare quando non vedi altro se non una debacle. Ti rendi conto di essere in un limbo desolato, di fatto la qualità delle persone intorno è desolante e non ci vuole un fake su Meetic per accorgersene: non hai 20, non hai 30 ma oltre i 40, vecchio mio. Là fuori i casi umani sono all’ordine del giorno, decadenti modelli rimasti dai cocci del torchio di eventi che mai avrebbero voluto subire, torniti dall’ignoranza dell’internet e se ti va bene con una media di compatibilità che si contano sulle dita di una mano monca. E io un nerdaccio senza speranza con un joypad in mano, non certo uno a cui affidare della prole derivata dal tuo matrimonio fallito o peggio farne uno con una disperata che ha l’orologio biologico triggerato. Vade retro. Gli amici dopo decenni sono cresciuti e sistemati, con figli che gli hanno ucciso la vita sociale, dove oramai non c’è più tempo e voglia di uscire chissà dove in scorribande visto se ti beccano in strada stracotto ti sbattono in galera, se non lo fan prima le mogli. In men che non si dica da decine e decine di persone intorno ti ritrovi solo senza una mazza in mano se non il tuo. Mazzetta. Ok mazzettina, sempre in media Europea, lievemente piegato a sinistra. Ehi, sono sempre stato ottimista ma stavolta è difficile anche solo pensarla con sarcasmo, men che meno con il cinismo. Stavolta è accettare che si è in un mare di guai, non vedi una via di fuga e la solitudine pesa non solo economicamente ma ti pressa la testa come un peso inesorabile.

E la cosa più sensazionale è che tutto questo è prodotto nonostante sia incredibilmente lucido e non nel mood da ebbro seriale. Dirai caro lettore che ho fatto dei progressi dai tempi che furono. Ma non temete, il Kraken verrà rilasciato più sovente, ricadere in delirio e follia è come la gravità: basta solo una piccola spinta.

Qui si va avanti, alla grande!

Mai fermarsi, regola numero uno. Essere sempre carichi è la regola numero due. Ne comincio a mettere in fila un buon numero di anni e questo dovrebbe farmi diventare più accorto e saggio. E invece no! HAHAHAHAAHAHAHA! E adesso? Mi sparo la torta alle noci qui sopra, rispondo ai tanti auguri di compleanno ricevuti e bon. Penso che andrò Al GrandEmilia, ho giusto qualche coupon “guardacasualmente” arrivato proprio in occasione imminente delle festività Natalizie. In realtà vado solo nella MIA ISOLA, CAZZO dove farò scappare tutti i bambini gridando parolacce e parlando in ruttese, in piena trance mistica dove cercherò di convincere le folle genti che è arrivato un nuovo Profeta. Ovviamente il tutto in tempo per non venire preso per le orecchie dalla Security e portato in Questura prima e alla Neuro poi oppure (e questo mi terrorizza) rimediare decine di castroni sul capocollo da qualche padre agitato dal poco senso dell’umorismo, che di solito mentre le mogli se ne vanno a fare spese con il carrellone quelli maschi a guardia dei pargoli sono sempre grandi e grossi. Non sono mica più così piccolo! Sono anni che non entro più nei BooBaloo.

recensione Evangelion Shin Gekijōban Rebuild 3.0 Q: you can (not) redo

E così mi aggiungo alla folta schiera di fanboy dell’universo EVA che giovedì scorso ha potuto godere della monoproiezione, unica data in tutta Italia, made in Nexo Digital (mymovies, radio deejay, mtv ondemand, dynit, insomma una miriade di partners) di un attesissima terza parte della tetralogia Rebuild of Evangelion, rivisitazione dell’anime originale con nuovi contenuti e diramazioni completamente diverse della trama a cui siamo abituati. Le premesse erano altissime, forti di due capitoli precedenti ben gestiti nell’arco del climax narrativo, in particolare il secondo quando ci si comincia a staccare dalla serie classica. Benchè in origine era pensata come una trilogia, con l’ultimo capitolo suddiviso ulteriormente per macinare incassi (Q e Final) vi era tempo e materiale per consegnare ai fan di lungo corso quella occasione indelebile così tanto bramata. Mai così lontani da ciò, una verità che prende corpo e forma dolorose. Q si rivela un incredibile passo falso, un film dalla dubbia utilità se non giustificare l’ennesimo impact per il perfezionamento del genere umano, gli unici 30/40 minuti salvabili con il resto da buttare. Hideaki Anno non sa quello che vuole e non sa quello che fa. Di certo si nota come Q sia stato scritto dopo aver terminato il secondo lungometraggio e senza una idea complessiva dell’intero progetto iniziato nel 2007, una cattiva abitudine che Anno continua a perseguire. Partiamo da una apocalisse che di fatto ha spazzato via la razza umana (third impact), per l’egoismo di Shinji a volersi unire via EVA con Rei, nell’intento di salvarla. Lo spettatore verrà immediatamente proiettato dentro un timeskip completamente inedito e spiazzante. I personaggi come li conoscevamo sono profondamente cambiati, anche nell’aspetto e questo funziona, le agognate frontiere inesplorate e una buona inquietudine di fondo sugli sviluppi. L’euforia dura pochissimo. Manca Shinji e ogni fan di EVA sa che quando arriva sarà una noiosa palla al piede. Viene tirato fuori di prigione da un manipolo di sopravvissuti con a capo una Capitan Harlock Misato perchè in grado di attivare lo 01 il quale verrà impiegato dal Wunder (la nave di Misato) come fonte di energia e non come arma. Il sarcofago preparato dalla Seele viene recuperato dopo una lunga sequenza d’azione pomposa ma ben realizzata. Shinji si trova catapultato nel buio assieme allo spettatore, entrambi lasciati spaesati in un setting di 14 anni dopo il third impact. Sentimento che a malapena si risolve mentre il mosaico si compone, in un recap di insieme (intorno alla 3/4) nei quali scorci troviamo gli unici momenti riusciti. Ora il dramma. Shinji riflette, come solito l’estensione della personalità del regista, i suoi sensi di colpa, gli errori, i mille perchè e tenta come sempre di mettervi una pezza, tornando a fallire. Un loop senza fine. Lasciato senza una adeguata preparazione psicologica nei due capitoli precedenti dove interveniva il giusto, Anno ha voluto recuperare mettendolo definitivamente al centro. Con orrore e aberrazione mano a mano che il tempo scorre, torna come un pugno in faccia la snervante regressione sul tedioso, logorroico e depresso protagonista. Non vi è un percorso di crescita ma sempre una involuzione che esposta in questo modo arriva nei pressi del ridicolo. Ruba la scena per tutta la parte centrale ponendo a margine il resto del cast che sino ad ora aveva retto, cambiati quanto basta per non renderli irriconoscibili in particolare Mari (ancora non sfruttata appieno) e Asuka ridimensionata ma sempre in grande spolvero, benchè dica sempre “sei solo un bamboccio Shinji”, insieme costituiscono una coppia irresistibile. Rei sembrava a un buon punto nel suo percorso di umanizzazione ma subisce un reset sin troppo radicale, diventando metaforicamente peggio di una pera di eroina tagliata male. Su Kaworu il duetto pianoforte (echi di Death & Rebirth alquanto fini a se stessi) che sfocia in ammiccamenti (e inquadrature palesi) saffici non è materiale delicato (nelle intenzioni) quanto inopportuno. Nulla da aggiungere sul fronte Gendo e Fuyutsuki, abili a manovrare i fili e determinati, nonostante si vedano davvero poco. Insomma le manie di protagonismo del regista li pongono tutti a semplici comparse siccome Shinji non molla. Il film crolla sotto quel peso di così tanto male di vivere, una insistente analisi che sfiora l’insopportabile e capace infine di scoprire l’intera ossatura di Q, la quale scricchiola. La base resta accattivante ma lo script mostra davvero tanti limiti, pieno di molteplici particolari che si contraddicono e lasciano senza spiegazioni alimentando all’inverosimile le speculazioni dei fan in cerca di decifrarne i contenuti. Di avviso opposto le scene di azione e la maestria tecnica nell’animazione e l’immancabile score di Sagisu. Una garanzia.
Anno frustrato come non mai ci fa patire tanto dopo questo soffertone e non credo che gioverà all’economia della saga (a vedere il rating su imdb, Q è il peggiore). Da fine quest’anno il Final slitta a imprecisato 2014. Forse non è un caso. Recuperare quanto lasciato dall’incompiuto 3.0 sotto quasi ogni punto di vista, sbrogliare la criptica matassa e riscrivere l’ending della serie, adesso si dimostra una operazione abbastanza difficile e dall’esito incerto.

L’uomo d’acciaio recensione

Il ritorno di Superman è sicuramente uno dei film più discussi della stagione. Forte di un budget plurimilionario (225 milioni di dollari) è riuscito a portare a casa quasi 600 cucconi (miglior di sempre per Giugno, opening secondo solo a Iron Man 3), segno che il supereroe con mantello e la tutina azzurra (finalmente senza le mutandone rosse) ha ancora un forte affetto e curiosità da parte del pubblico mainstream, consacrando il cinecomic come il genere più fruttuoso al momento a Hollywood. Il film lo dico subito non mi ha gasato dopo l’hype circolato intorno, viste anche le qualità espresse sulla carta. Il team artistico e produttivo è praticamente lo stesso del Cavaliere Oscuro (ho scritto di Dark Knight e Rises) di Nolan, con al timone un regista visionario e controverso come Zack Snyder (300, Sucker Punch) che in fin dei conti ho sempre apprezzato. Zimmer sempre lì allo score. In pratica la Warner gioca pesante. Ma quella potente alchimia accarezzata più volte con il filone Nolaniano non ne arriva che una minima parte. Probabilmente il miglior Superman dei giorni nostri, la migliore incarnazione possibile non è assolutamente in discussione. L’inizio è praticamente epico. Poi arriva il fardello della genesi e formazione del personaggio sulla Terra, i dubbi, le paure di Kal-El. Qui il plot sembra incollato male, quasi mancano dei pezzi con parecchie battute scomposte e salti tra flash back e altro che affossano e peggio annoiano la visione, diventando difficile da seguire. L’impegno della durata è al limite, non si può allungarlo di altri 20 minuti forse necessari nel montaggio. Non aiuta la peggiore Lois Lane mai vista in 40’anni di trasposizione del fumetto (che mi scala un ghiacciaio come niente fosse, sempre fuori luogo e alla fine ti sta anche sulle palle). Poi arriva Zod. Con le sue motivazioni, con la sua rabbia a tal punto che non lo si può biasimare. Il sussulto, il crescendo. Un espediente quantistico assolutamente inverosimile (ok sempre fantascienza però gli occhi strabuzzano lo stesso, compreso un WTF?!?) ma pazienza. Si vola con l’arrivo dei Kryptoniani, letteralmente lo schermo esplode nel cercare di contenere tutta quella imponenza visiva che confluiscono in un finale da spacco tutto devastazionale sbalorditivo, lunghissimo che non lascia fiato e da applausi. Senza precedenti. Superman addirittura incespica, sembra non farcela. Sa che sono suoi fratelli ma adesso la sua casa è la Terra. Si sveglia e asfalta quel poco rimasto di Metropolis. Il personaggio è pronto. Rimane solo quel senso di incompleto, di ottimo con qualche riserva. Ma la fiducia per il futuro seguito permane, visti i vari rimandi nel film a Luthor (quasi impercettibili anche quelli di Wayne) le basi per qualcosa di veramente importante ci sono con il villain per antonomasia, un climax di quel calibro anche se Superman non è chiaramente Batman e Lex non è il Joker. Però la ciccia succosa ci sta tutta. E poi chissà, almeno per arrivare ai livelli dello studio Marvel. Magari al sapore di Justice League.

Star Trek XII Into Darkness recensione

WARNING! La recensione verte su alcuni punti chiave e scelte tecnico/stilistiche della trama per cui vi sono SPOILER.

Con qualche giorno di ritardo giustificato per vederlo in tradizionale 2D, Into Darkness alla fine è stato metabolizzato. Le premesse erano parecchio alte, visto il buon lavoro di reboot operato dalla Bad Robot, parere non solo personale visto che a oggi quest’ultima operazione del franchise sta portando avanti il primato di lungometraggio Trek con il maggior incasso di sempre. E se le basi del primo non erano all’altezza, i risultati al boxoffice sarebbero ben differenti. Purtroppo partire gasati in sala non è mai una mossa furba. Into Darkness è un buon film, purchè si lasci da parte la visione Star Trek più classica d’insieme. Ho sempre sostenuto come nei reboot si devono tenere a mente omaggi alla memoria storica ma conseguire una propria strada, con le opportune libertà, senza strafare. J.J., Kurtzman, Orci e Lindelof hanno prodotto un ottimo script con riferimenti per non dire copiare spudoratamente l’Ira di Khan, ribaltandone il sacrificio estremo e travisando alcuni parametri fondamentali a scapito di un barlume di coerenza secondo me necessaria. Parlare di fisica in Star Trek è ardito, ma da trent’anni sparare con i phaser a curvatura NON SI E’ MAI VISTO nemmeno negli scorci di futuro tra le varie serie, uscirne poi in derapata fa accapponare la pelle. E’ impossibile, certo se si sanno le regole in gioco. Colpire con delle bordate di missili le gondole della nave equivalgono a far saltare il nucleo e vaporizzare la nave. DA SEMPRE. Assolutamente inqualificabile la missione da caccia all’uomo ricerca e uccidi, con buona pace delle basi morali all’interno della Federazione. I Klingon con l’elmo, guerrieri con onore e guerra nelle vene, incazzati duri NON RILEVANO UNA NAVE NEMICA alla DERIVA nel loro SPAZIO natale?!? Se sono il gancio per confluire su uno scontro impero/federazione inevitabile, siam messi bene. 72 testate che esplodono in pancia a una qualsiasi nave, di tale nave non rimane nemmeno un pulsante della plancia di comando. Chekov in sala macchine? a 17 anni dove ha imparato le competenze necessarie se è un navigatore? Carol Marcus (Alice Eve) in mutande è un bel (succoso) vedere, ma il personaggio è posticcio, così come le discussioni sentimentali tra Spock e Uhura assolutamente superflue. Teletrasporto portatile che ti porta a Kronos con un click facciamo finta di non aver visto. Queste sono tutte seghe da fanboy che urtano fino a mezzogiorno il mainstream, il problema arriva quando alcune escono dal fanboysmo trekkiano e diventano vere e proprie storture contro logica. Perchè all’inizio nascondere la nave sott’acqua, era duecento volte più sicuro restare in orbita, e visto che si può teletrasportare Spock a un passo dal venire incenerito, non lo si poteva mettere prima evitando i rischi con la navetta? Da quando una eruzione fa saltare in aria un pianeta? Scotty che prima si aggrega a un convoglio di navi presso uno spaceport segreto, poi gira all’interno della Vengeance sempre senza che lo becchino (tranne all’ultimo, colpo di scena) quando parliamo di una delle navi più avanzate della Federazione è incongruente. Insomma un minimo di struttura me la devi mantenere. Disastro totale? In realtà messi da parte (ce ne vuole) i vari tecnicismi trekkiani e passando sopra le citate castronerie, il film resta godibile, visivamente emozionante, con la recitazione del villain che da solo vale il prezzo dello spettacolo. Comunque resta l’intesa del cast come da tradizione per la saga sebbene vi sia uno Spock troppo rompicoglioni. Serrato ma meno frizzante del precedente, ho trovato qualche sussulto tra ritmo nelle scene d’azione che di fatto sbandano un pò la visione, della serie alti e bassi. Il personaggio di Peter Weller (il mitico Robocop) meritava maggiore profondità, ma son dettagli. CGI e score come sempre da impatto positivo. J.J. conferma l’essere uno dei registi pigliatutto del momento e gioca facile con materiale tratto da roba già vista e prevedibile (come il recupero di Kirk) che piacerà a un vasto pubblico, in quanto ogni tassello va al suo posto. Scontento per lo zoccolo duro, di fatto non trainante per gli incassi anche se puntualmente andranno sempre a vedere al cinema, divertente per passare la visione con un film fantastico di prim’ordine, con buona pace nostra e gioia per la Paramount. Il brand continua la sua corsa verso la missione quinquennale ma sapere il regista alle prese con Star Wars mette qualche dubbio, nonostante quanto detto. A meno di aspettare più di due anni per cominciare le riprese e altri due tra produzione e post-produzione, si schiva il cinquantenario della serie (2016) e Paramount lo vorrebbe festeggiare. Chi prenderà in mano la baracca?

Daft Punk Random Access Memories recensione

Otto passaggi in due giorni, possono bastare. D’accordo anch’io ho ceduto a un leak (stranamente di qualità decente) ma niente pirateria spudorata, l’obolo del mio contributo arriverà non appena lo caricano su Music Unlimited (pochi giorni siccome la columbia è di sony) a cui sono iscritto. Arrivo al dunque subito, zero premesse. Devo ammettere una delusione piuttosto marcata, un album che suona morbido, elegante, raffinato da una parte ma fuori contesto dall’altra. Con RAM posso definitivamente mettere nel cassetto dei bei ricordi (e tenere in playlist) i primi due album con una riserva per Human After All che mi fece piuttosto brutto (allora e pure oggi) ma almeno era dance/elettronica. Drum machine fissa a 4 tempi e tecnologia sintetica, miscelati in salsa filtered french house grezza e via pari. Sogno da hype di un lavorone sublime dopo aver accarezzato l’ost di Tron qualche anno fa e una Get Lucky come botto di singolo che ci poteva stare, erano presagio di sommo gusto. A parte che non mi devi suonare tutto così. Get Lucky è la massima espressione, la massima summa dopo 8 anni di silenzio trovano infine un disco con collaborazioni preziose. E se Pharrell oramai lo troviamo anche nelle patatine, usare Nile Rodgers vuol proprio dire andare a colpo sicuro. Assieme a lui (e tutti gli altri) si avverte classe negli arrangiamenti, di fatto ben costruiti e che scorrono senza intoppi a parte qualche lento da “il tempo delle mele” di troppo. Confezionato ad hoc lo si era capito ma il divertimento e l’ispirazione originali sono scemati. Perchè non inventa e peggio non reinterpreta questo sound già sentito. Inventare è durissima ma almeno mettici del tuo. Ricorda Tellier, i Phoenix, del funky chic anni ’70, italo disco anni ’80 (grazie, se sfoderiamo Giorgio Moroder) e comunque NON E’ DAFT PUNK. Non si sta sentendo nulla di nuovo e nemmeno nulla di loro. Nulla per due. La scena dance attuale vede dei Skrillex, dei David Guetta e fin qui poco da obiettare. Ma nessuno vuole i due robottini francesi mettersi lì a produrre roba del genere per un paio di motivi, primo sono tagliati fuori tempo e diciamolo non ce li senti proprio a fare della dubstep/prog house commerciale. “Doin’ It Right” con il Panda Bear da uno scorcio di remota memoria per un album altrimenti fiacco, senza traino. Con “give life back to music”, “fragments of time” e “instant crash”, tipo di brani che possono finire in playlist sciccose durante un aperitivo a fare il mandrillo con le tipe. Ma a catturare l’attenzione e il richiamo al ballo ce ne passa. Del resto, chissenefrega del fanservice? Mettere da parte i Daft Punk da Alive 2007 in giù. E lo troverete godibile. Lo zoccolo duro è avvisato.

Lo stop dei mesi che furono.

chissà se c’è ancora qualcuno che ordina un click su questo blog. Beh, spero siate abbastanza smaliziati da aver provato a cercarmi su G+ perchè se volete continuare a leggermi dovrete andar di là. Qui ci butto solo recensioni personali di robe che troverò papabili e meritevoli di scrittura, benchè come film preferirei usare MUBI e in generale quando mi tira le chiappe ovvero veramente poco. Il blog è quindi in status discontinuo, suppongo ve ne sarete accorti… 🙂

Iron Man 3 recensione

Dove comincio? Quasi totalmente deluso. Nessuno si aspetta una maestosità di chiusura per una trilogia alla TDKR, siamo in universo Marvel, ci mancherebbe. Ma la caduta e rinascita psicologica, emozionale e tecnologica di questo supereroe meritavano tanto di più. Premesse e trailer davano quasi per certi epicità e conclusione con il botto, merito di un secondo episodio non frizzante come il primo ma di sicuro trampolo (a cui aggiungere gli Avengers). Serietà ed ironia, visto Downey sempre mattatore nei panni di Stark, sono d’obbligo ma non così, non di continuo ogni volta che apre bocca. Sgonfiato quel poco di epico rimasto, ecco che vengono fuori gli scricchiolii come parecchie incoerenze, buchi di trama, valanghe di personaggi messi per riempire e ridotte a mere comparse. Si lascia correre la rivisitazione del Mandarino, l’Extremis e un villain giù di tono, di certo non tiene testa a Stark. Non passano le idiozie alla Disney, il far ridere a ogni costo quando non serve. Merito di politiche sempre più rivolte al mainstream, piuttosto che la fanbase, magari quando si aspettava un cinecomic più maturo, meno ingenuo e facilone, ma ben coeso e affiatato come gli Avengers. Ok, vi danno gli effetti speciali super turbo che giustificano il budget stellare ma alla fine cosa rimane? Un cliffhanger dopo i titoli di coda da dimenticare… I più integralisti lo perdoneranno per un pelo, il pubblico di massa ne ingigantirà gli incassi stratosferici e alla fine ai Marvel Studios (e Disney) va benissimo così.