I Figli degli Uomini.

Tensione. Disagio. Inquietudine. Angoscia. All’uscita della sala il terzo film di Cuaròn riesce a sferrare un colpo allo stomaco con la sua cruda rappresentazione di un mondo sull’orlo del collasso, dove la consapevolezza di non avere più un domani (praticamente non nascono più i bambini, il più giovane ha 18 anni) esplode nell’esasperazione scellerata del lato più torbido della natura umana. Ciò che racconta il regista soffoca lo spettatore: grigio predominante, sporcizia e fango, animali morti, un misto tra civiltà pre-industriale e post-atomico alla Mad Max (forti richiami sopratutto alle macchine tra cui spunta, curiosità, una Multipla). Piani sequenza impressionanti e immagini forti che lasciano poco all’immaginazione. Sullo sfondo di questo inferno un Owen bravissimo nel ruolo di eroe per caso, sfinito, stanco e arido, che viene catapultato nel mezzo di una ribellione. Da ex-attivista quale è stato, ritroverà la forza per continuare a credere in un domani. Violenza e terrore usati per la causa, anarchia e sovversione per riportare la libertà contro un governo ferreo e xenofobo, con chiari riferimenti ai disordini che ogni giorno riempiono giornali e televisione. In mezzo al Caos, la Speranza: una donna incinta di cui non sappiamo nemmeno chi è il padre, una speranza in cui dovremo credere dopo il finale, tra i più azzeccati che mi sia capitato di vedere. I Figli degli Uomini è imperdibile a prescindere dal genere a cui appartiene, una sorta di documentario fantascientifico che vi lascerà molteplici spunti di riflessione. Plauso a Cuaròn e al suo talento.

Unica nota stonata in una perfetta sinfonia è il doppiaggio, sopratutto della protagonista.

Di diritto nella mia personale top 10.

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