Harry Potter e i Doni della Morte recensione

E così tutto si è compiuto. Notato come avevo lievemente glissato lo scorso Novembre nel dire due paroline sulla prima parte dei Doni? Attendere la parte seconda, vista già un paio di volte in un weekend, mi sembrava parecchio giudizioso. Dicevo, la fine è arrivata e in modo omogeneo, pulito e rifinito come ben si addice alle conclusioni che pretendono un alto tributo in termini di uomini e mezzi impiegati (leggi circa in dollari 250 milioni di budget). La prima parte con qualche tentennamento, allungato e volutamente preparatorio con un cliffhanger d’obbligo per collegarsi alla seconda, con il suo parco di escalation, movimentato e i pezzi che si ricompongono. Visto insieme, ogni reparto ha quindi funzionato a regola d’arte. Persino gli attori e non mi riferisco agli inossidabili Smith (Minerva) o Berman (Severus), ma proprio al trio classico. Radcliffe è meno gessato del solito e con lui tutto il resto del carrozzone. Fiennies (Voldemort) pare proprio a suo agio nei panni del Villain con la V maiuscola. Riguardo la regia Yates ha traghettato le ultime quattro puntate, mantenendo un ottimo equilibrio e la soluzione di continuità necessaria per evitare sbalzi, permessi durante l’inizio della saga. Colombus era ideale per avviare i maghetti, uno specialista anche nel narrare con occhio fantastico e ricco di stupore il mondo creato dalla Rowling. Cuaron ha innestato le basi per la virata dark e ancora oggi per me resta l’episodio registicamente e stilisticamente migliore (sebbene il meno redditizio, solo 795 milioni). Funzionale la parentesi di Newell, probabilmente quella più anonima. Ma tornando a Yates non si può praticamente recriminare nulla. Ha fatto bene il compito. Personalmente una corsa senza sosta che per ovvi motivi tralascia qualcosina per strada, sopratutto nei Doni vista la mole di materiale. Nella sostanza solo i fanboy radicali del cartaceo potranno lasciarsi andare a spergiuri e sproloqui vari verso il regista britannico, ma io da spettatore esterno allo scritto, non ho proprio trovato nessuna falla. In particolar modo alla fine e con un flashback che chiude il mosaico in alcuni punti si è rivelato ben più chiaro del libro stesso. Rowling prodruttice ma dietro alle quinte ha dato mica poco una mano a Kloves in fase di sceneggiatura. Dal lato tecnico poco da disquisire. Fotografia, scenografie ed effetti speciali di forte impatto emotivo, trasportate da un taglio serrato e senza cali di ritmo. Desplat ancora una volta conduce lo score omaggiando temi dal passato, del resto Williams non si deve certo dimenticare (avete detto a King’s Cross?) e si presenta elegante ed attinente in ogni occasione, concitato ed imperioso quando serve. L’idea di splittare in due episodi ha pertanto regalato il miglior epilogo possibile. Dopo una decina d’anni si congeda Harry Potter al cinema. A parte il primo episodio me li sono sparati tutti, come fosse un appuntamento abituale. Sì dai, un pò di malinconia me la concedete?

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