the prodigy invaders must die recensione.

Ed eccoli qui, belli carichi i Prodigy ritornano con Invaders Must Die, pubblicizzato in pompa magna come il primo album da studio con tutti i 3 membri storici della band dopo ben 12 anni mentre Outnumbered giustamente finito nel cesso. Che dire? Spuntato. Graffiante. Esplosivo senza sosta. Tutto fuorchè impressionante e memorabile. Però suona bene. Meglio delle aspettative un pò insipide che il primo singolo aveva pericolosamente accennato. Una antologia omaggio di quel brodo primordiale del gruppo, in grado di affondare le radici in Jilted Generation e forse più in Experience, dalle basi ritimiche molto anni ’90 persino nei suoni (sequenze come Charly ed Everybody in the Place per capirci), spinti con l’energia sintetizzata e tecniche di produzione elettronica tipica dei nostri giorni (pause, filtri, controtempi). Ennesimo virtuosismo autocitazionista, anima personale, eccetera, sempre roba di Liam Howlett. Non vorrei essere fraineso, I.M.D. è un buon disco e forse soddisfa i fan di vecchio corso dopo Fat of the Land. Ma non aggiunge nulla, anzi non ha una sua anima. Non c’è il “parental advisory”. Non c’è testo, non c’è rabbia, non c’è Poison, Diesel Power, il big beat che ha fatto storia. Lo ascolti e morta lì, divertente, torni in memoria quando sudavi ubriaco (se non peggio) a vederli dal vivo o in pista. Ma manca un Flint che tiene in corsa il brano assieme a Maxim, ci sono ma sono entrambi inguaiati e piegati, stritolati dalle macchine acide Howlettiane.
Non ci si rende quasi conto che in Run With The Wolves c’è dietro Dave Grohl. Simpatico e insolito nella chiusura con Stand Up. Ma la curva dinamica dei brani è pari dall’inizio alla fine, pompa adrenalina con lo spettro della ripetitività che incombe. Da apprezzare, da avere, da gustare con le dovute riserve ricordandosi che gli anni d’oro sono finiti da un pezzo.

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