Sono passati 19 (fottutissimi) anni dall’Ultima Crociata e l’eredità che si porta dietro questa serie è da brividi, già solo per essere l’icona d’eccellenza nel cinema d’azione anni ’80. L’hype e le parecchie aspettative per questo ritorno che con un soffio possono trasformarsi in una presa in giro senza precedenti (in particolare al giorno d’oggi) sono palpabili. Non per niente i rinvii e gli scarti di sceneggiature han fatto pensare più degli anni di un inossidabile Ford alle prese con le acrobazie di una volta, ma state tranquilli. Lucas e Spielberg sono maestri indiscussi del puro entertainment (per inciso da loro inventato oltre trent’anni fa), con una storia riuscita e gli attori belli incastrati (persino Shia Le “Buffo”), il gioco è fatto e funziona alla grande come ai bei tempi. Indiana è in gran spolvero, trionfale come la Raiders March di Williams, con l’ironia, le battute memorabili, le situazioni assurde, i doppi giochi, le schifezze insettoidi e i marchingegni mortali sono di nuovo tra noi. Proprio tutto. Dannatamente divertente, scanzonato e spettacolare (grazie alla tecnologia disponibile), lo spirito originale è fortunatamente salvo. E con lui lo sguardo ebete dallo stupore stampati sulla mia faccia resiste più del finale (praticamente telefonato) e del doppiaggio sovietico caricaturale.
Bentornato Dr. “Jonsey”!
2 commenti su “Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo recensione.”
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quanto avremmo voluto fare una foto alla tua espressione da Bimbo sotto Albero di Natale…
Irripetibile!
Che sollieve, pensavo nella solito sequel spazzatura, invece…