recensione Sunshine.

Tipico incipit da film di fantascienza dove l’umanità non ha speranza di sopravvivenza se non per mano di un pugno di eroi. Stavolta un equipaggio è proiettato verso il Sole nel tentativo di buttare una bomba che faccia da defribillatore e risvegli la stella morente. Disseminato da sporadici riferimenti ai classici del genere come 2001 (le sequenze dentro la tuta spaziale) i claustrofobici tunnel della stazione (?) tipo Alien e un cast azzeccato, aiutano a dare forma al film di Boyle. Sunshine è un film costruito fottutamente bene, passatemi il termine, per chi mastica il genere. A partire dal minimo di veridicità scientifica e gli sprazzi da action movie per tenere ritmo, filo di un rasoio che preannuncia la catastrofe, l’opppressione psicologica dello spazio pericoloso e infinito, sono aspetti costruiti con atmosfera e buona regia. Niente storia melensa d’amore, niente esagerazioni ridicole e cattivo gusto. La sensazione di impotenza dell’uomo di fronte alla maestosità terrificante del cosmo cattura l’attenzione quanto basta, per il resto ai protagonisti saltano i nervi, la tensione è palpabile, si ritrova una nave che si credeva dispersa, imprevisti già collaudati e poco originali. Nessun miracolo ma rimane un discreto risultato. Però un alone si avverte, uno spettro che va oltre la sceneggiatura non proprio al top. Dov’è la frittata, l’inghippo? Boyle lo si conosce, la porcata ce la mette sempre. Sospetti che trovano conferma verso i 3/4 quando l’evidente carenza di idee (e forzatura nelle personali visioni, il regista tradizionalmente se le impone) deraglia la pellicola in un banale meccanismo thriller/horror di eliminazione personale equipaggio uno per uno. Se avviene per mano di forza sovrannaturale che mischia onnipotenza e diritto divino, il risultato è sbrigativo e danneggia il film.

Boyle pasticcia proprio nel climax della storia, con una maggiore cura avrebbe rilegato Sunshine a culto nel suo genere. Così rimane un film dal sapore agrodolce.

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