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recensione ocean’s 13 (thirteen)

Vola e diverte il terzo episodio di questa saga fimata Soderbergh & Co., squadra vincente non si cambia e modus operandi pure. Cast stellare, musica di qualità e ciò che abbiamo già visto in passato: il gruppo capitanato da Danny sempre spaccone e brillante, il colpo impossibile, il cattivone da battere, la bella di turno, dialoghi taglienti e tanta ironia. Ovviamente senza spargimenti di sangue e violenza gratuita ma classe, eleganza e sfacciataggine a volontà. Trama interessante e in grado di mantenere il ritmo sempre alto anche di fronte ad elementi di secondo piano che anzi ben si incastrano nel filone principale. La regia è come sempre al servizio del pubblico e dimostra ancora una volta l’incredibile versatilità di Soderbergh in grado di destreggiarsi tra cinema indipendente e il blockbuster hollywoodiano.

Il risultato finale è irresistibile e per la sua lineare semplicità arriva ad esser più gradevole del predecessore. Non aspettatevi grandi sorprese nel finale ma di sicuro queste due ore regalano una piacevole visione. Da vedere!

grindhouse: fake trailers

Ullallà, per la gioia di grandi e piccini ecco i finiti trailer di grindhouse grazie a Youtube. Ovviamente la qualità è scarsa (per rendere omaggio ai ’70) e sbilenca perchè cinerip, ma almeno ci si puà consolare con il fatto che sono qui e il rischio di non vederli da noi nemmeno in DVD è bello ampio. Anche se a detta di Roth la realizzazione di un intero film fatto solo di questi miniclip non è poi così remota. Incastrati dentro Grindhouse (in intermezzo tra Planet Terror e Death Proof) comunque si vede il progetto nella sua forma originale: oltre ad essere ben realizzati sono splatter, esagerati e divertenti, centrando in pieno lo spirito di quelle sale che oramai sono un lontano ricordo.

Recensione Grindhouse: a prova di morte.

Quentin Tarantino. Prende appunti a Cannes durante una lezione di Scorsese sul cinema (non lo prende per i fondelli, nonono :mrgreen: ) e giustamente ci fa notare che in Italia siamo deprimenti se la nostra massima espressione confluisce solo in lucchetti e vacanze di Natale. Occorre aggiungere altro?
Comunque…
Partiamo dal presupposto che la politica commerciale (mista a censura) in Europa ci ha messo lo zampino arrivando a:
-spezzare in due il progetto originale (l’episodio di Rodriguez, Planet Terror, per ora è fissato a fine Luglio)
-eliminare i fake trailer di intermezzo al gusto slasher+gore in quantità (di Rob Zombie e Eli Roth tanto per precisare dove si andava a parare)
-allungare il cut originale dell’episodio di oltre 40 minuti
benchè sono operazioni riflesso del flop statunitense la corsa ai ripari secondo me vanifica l’opera nell’insieme che voleva essere un omaggio ai b-movies horror d’azione in voga negli anni ’70, easy fun all’ennesima potenza.
A prova di morte è un esercizio di stile che esalta tecnicamente le migliori qualità del regista americano: fotografia sporca e rovinata, audio gracchiante, tagli approssimativi e colonna sonora (come sempre) ricercata enfatizzano l’atmosfera e contribuiscono a creare una regia ferma e meticolosa. Superlativo quando cita se stesso (regalandosi l’ennesimo cameo), in particolare da Kill Bill, non si può negare la bravura manicale del dettaglio e il tentativo di proporre qualcosa che vada fuori dagli schemi. Trash colto e di qualità, godimento. A tanti elogi occorre fare i conti con quello che la macchina da presa maschera, ovvero il risultato nel complesso non diverte come ci si aspetta direi piuttosto freddo e dispersivo. Prolisso e monco di quella alchimia grottesca ed esagerata che ho sempre trovato in Tarantino, la pazienza viene scalfita da monologhi diluiti e pallosi, che funzionano fino a mezzogiorno. A corrente alterna, incostante: se nel primo tempo si gettano le basi per il il personaggio di Mike (un Russel da incorniciare), un ritmo esagitato e di corsa (barocco e fracassone) come gli ultimi 15 minuti sono almeno d’obbligo. Mentre da antologia rimane l’unico botto con le frattaglie che volano e qualche applauso nel sadico gioco della vendetta sul finale, l’ironia del cacciatore che diventa preda. Troppo poco e il paleativo degli omaggi cinefili è cool ma fine a se stesso.

Da vedere con le dovute riserve.

recensione Pirati dei Caraibi: Ai Confini del Mondo.

Come era lecito aspettarsi da un franchise pompato all’inverosimile alla fine doveva lasciare l’amaro in bocca. Non mi va di rovinarvi la visione, inevitabile se avete apprezzato i precedenti episodi. Ma volendo dare un piccolo scorcio della sceneggiatura posso dire che non mi è parsa all’altezza e male ingrana: troppo frammentata e a ritmi alterni, cozzaglia piena di capovolgimenti, dannatamente lunga e in qualche punto perde pezzi per strada. In effetti la vera utilità del film la si trova verso l’ultima mezz’ora, di fronte a una parata orgiastica di effetti speciali e distruzione a gogo nel confronto finale, per arrivare all’unica soluzione possibile che salvi capri, cavoli, pirati e permetta di proseguire con queste avventure made in Disney. Si è persa un pò la magia che ha caratterizzato il primo episodio, la sua genuina e divertente semplicità ora soppiantata da un prodotto finale sofisticato e dispersivo, sfrontato nella forzata ironia e spaccone tanto da citare pure Sergio Leone. Verbinski si è (a ragione) montato la testa. Cast tecnico eccellente tra cui spicca anche Richards: i fan degli Stones godranno.

Spettacolare sul finale e come trovata commerciale Bruckheimer e Disney centrano il bersaglio e sfrutteranno il marchio fino all’ultimo dollaro. Da vedere ma senza aspettative clamorose. E’ un consiglio.

recensione Zodiac.

Zodiac mi ha ucciso nei suoi 158 minuti. Mi è parso come uno di quei documentari da History Channel a notte fonda. Un meticoloso reportage massacrante che ammazza la pazienza dello spettatore e lo porta ad una irrimediabile sonnolenza. Ci sono rimasto di sasso alla prima occhiata di orologio, credevo fosse passata più di un ora e mezza mentre arrivavo a malapena ai cinquanta minuti. Stremato e con le palle triturate a fine visione da questa sequela serrata e ingolfata nel plot, Zodiac regala pochi momenti di memorabile cinema, in particolare la visita nello scantinato di uno dei presunti colpevoli. Troppo poco assistere all’ossessione emotiva dei protagonisti, ai quali a parte Gyllenhall (il vignettista) non si dedica una analoga analisi diventando così sprecati. Imparagonabile con i lavori precedenti di Fincher, se non dal lato puramente registico. La mano si sente, è innegabile come sia riuscito ad amalgamare il tutto con sapiente maestria. Però Se7en e Fight Club rimangono sicuramente di ben altro calibro per ritmo, interesse, tensione.

Zodiac spara alto e mantiene poche promesse, nonostante la critica lo ostenta come miglior film della stagione. D’accordo, a patto che venga fornita la bomboletta d’ossigeno o una flebo… Mah…

L’arte del sogno…

Freud è una frode… parola di Michel Gondry. Come si costruisce un sogno? Prendete i colori e le emozioni del presente, mescolatele con i suoni, le voci, le musiche, i ricordi del passato. Et Voilà. Sempre piaciuti i film particolari e surreali, sopratutto quando sono al servizio dello spettatore e non semplici esercizi di stile fine a se stessi.

Come una ricetta ben miscelata ad hoc, l’Arte è un film magico, ironico e divertente, un vero e proprio sogno ad occhi aperti in cui si intravede tutta l’anima del regista. Decisamente personale e meno commerciale di Eternal Sunshine of Spotless Mind ecco servita un’altra storia d’amore dolce come un soffio di vento, plasmata bene e ricca di quella passione per il Cinema che si vede purtroppo sempre meno. Se vi capita, non esitate. A patto che mettiate da parte per un attimo fredda razionalità e ricerca sistematica di filo logico…

recensione Spiderman 3

Spiderman 3 è il risultato di un regista che ha diretto un film da oltre 300 milioni di dollari. Di budget. E non poteva permettersi errori. Perfettamente comprensibile come alla fine sia facciata tecnica e poca sostanza, con ritmo discontinuo e spreco di un cast convincente, tra cui spicca Maguire che proprio non si rende conto di essere l’Uomo Ragno. Questo colossal campione d’incassi si ferma qui. Mirabolanti sequenze, combattimenti esasperati ed altamente spettacolari, cadute di stile che sfiorano il ridicolo, prevedibilità. Molto alla buona. Non sono un appassionato della branchia Marvel ma credo che ogni buon fan griderà allo scempio di fronte a un mancato sviluppo sulla psicologia dei personaggi e in primis Venom. E la libertà che si è preso Raimi, anche se ci può stare. Colpa della tanta carne sul fuoco, troppa roba che si vuole raccontare a tutti i costi.

In questo enorme frullato disomogeneo, il risultato finale lascia perplessi. Con lo spettro dell’occasione mancata per chiudere alla grande.

recensione Sunshine.

Tipico incipit da film di fantascienza dove l’umanità non ha speranza di sopravvivenza se non per mano di un pugno di eroi. Stavolta un equipaggio è proiettato verso il Sole nel tentativo di buttare una bomba che faccia da defribillatore e risvegli la stella morente. Disseminato da sporadici riferimenti ai classici del genere come 2001 (le sequenze dentro la tuta spaziale) i claustrofobici tunnel della stazione (?) tipo Alien e un cast azzeccato, aiutano a dare forma al film di Boyle. Sunshine è un film costruito fottutamente bene, passatemi il termine, per chi mastica il genere. A partire dal minimo di veridicità scientifica e gli sprazzi da action movie per tenere ritmo, filo di un rasoio che preannuncia la catastrofe, l’opppressione psicologica dello spazio pericoloso e infinito, sono aspetti costruiti con atmosfera e buona regia. Niente storia melensa d’amore, niente esagerazioni ridicole e cattivo gusto. La sensazione di impotenza dell’uomo di fronte alla maestosità terrificante del cosmo cattura l’attenzione quanto basta, per il resto ai protagonisti saltano i nervi, la tensione è palpabile, si ritrova una nave che si credeva dispersa, imprevisti già collaudati e poco originali. Nessun miracolo ma rimane un discreto risultato. Però un alone si avverte, uno spettro che va oltre la sceneggiatura non proprio al top. Dov’è la frittata, l’inghippo? Boyle lo si conosce, la porcata ce la mette sempre. Sospetti che trovano conferma verso i 3/4 quando l’evidente carenza di idee (e forzatura nelle personali visioni, il regista tradizionalmente se le impone) deraglia la pellicola in un banale meccanismo thriller/horror di eliminazione personale equipaggio uno per uno. Se avviene per mano di forza sovrannaturale che mischia onnipotenza e diritto divino, il risultato è sbrigativo e danneggia il film.

Boyle pasticcia proprio nel climax della storia, con una maggiore cura avrebbe rilegato Sunshine a culto nel suo genere. Così rimane un film dal sapore agrodolce.

the illusionist

Per questo Illusionist Neil Burger si affida all’ottima fotografia di Dick Pope e location suggestive in grado di offrire una Vienna di fine ‘800 ombrosa e ricca di atmosfera, veramente magica. Con Philip Glass alle musiche e un cast di tutto rispetto The Illusionist nelle premesse sembra presentarsi sotto una buona stella. Purtroppo non basta. La storia d’amore tra i due protagonisti risulta fin troppo riciclata e lenta, in grado di sbilanciare un plot che garantisca supporto a Norton (magnetico ma non all’altezza delle reali capacità) e gli altri coprotagonisti (Giamatti e Biel, bravi entrambi). Il gioco regge fino a metà durata per poi scivolare in tutta la sua fragilità. Non vengono sviluppati aspetti interessanti come il contesto dell’epoca e la profondità dei personaggi. Il susseguirsi degli eventi è appiccicato in una mesta successione che non regala emozioni e ancor meno un piccolo colpo di scena finale. Rimane un film godibile ma sotto sotto lascia uno sgradevole senso di vuoto a fine visione.

Elegante ma senza mordente. Sprecato.

Stay Alive

Vediamo un pò: luoghi comuni, noioso, incoerentissimo, ripetitivo, americano, sempre e soliti clichè. Un’altra porcata. A poco serve riempire questa pellicolina da teenager con riferimenti nintendiani (controller nes e toadstool) o sonari (PS2 eccetera), mettendoci spudoratamente dell’hardware della rinomata Alienware per gasare gli appassionati se poi l’impianto crolla inesorabile per mancanza di tutto quello che serve per confezionare un horror decente. Anzi almeno un film decente, lasciamo da parte il genere. William Brent Bell si fregia della collaborazione del game designer di Gears of War Blezinski e tira in ballo il Malleficarum per mettere insieme una sceneggiatura che sembra scritta da un decerebrato in piena crisi d’identità. Da mettere al rogo per aver solo citato Otomo con Steamboy, non funziona niente: manca la violenza fisica e psicologica, manca una atmosfera che coinvolga, siamo sempre all’eliminazione a rotazione dei protagonisti e il finale che dire ovvio è un complimento. Speriamo dopo questo secondo spreco di pellicola, si trovi un lavoro socialmente utile o ci pensiamo noi a evocare la Contessa Bathory. Dopo la visione ce ne ridiamo allegramente sull’onda del “Ti regalerò una Rosa…” di Cristicchi, calza a pennello visto la presenza di tali fiori. Se Stay Alive doveva essere un film del terrore, il suo fallimento è totale.

300: preparatevi alla gloria!

Una sola battaglia, le Termopili. Erodoto come sceneggiatore, alcuni dialoghi realmente avvenuti, tratto da una graphic novel di Miller. Un manipolo di uomini non curanti del loro inevitabile destino spronaneranno con il loro sacrificio l’intera Grecia. Per quanto si sia presa dell’ovvia libertà storica (non importa se i persiani furono 200mila e non una milionata o due…), niente fin’ora era riuscito a ricreare con un simile realismo e cruda violenza (chi non digerisce cataste di morti e arti si tenga alla larga…) una guerra di tali dimensioni. Mai indietreggiare di fronte a nulla: Leonida verosimile come ce lo immaginiamo raffigurato nell’iconografia classica, eroe mitico tutto d’un pezzo, riassume l’emblema del Re condottiero senza paura dei suoi fedeli opliti e ciò che era Sparta. Poco è stato tralasciato dalle matite di Miller che forte della ricetta di Sin City, supervisiona l’operato di Snyder e insieme ripropongono lo stato dell’arte nella rivisitazione da fumetto a film: dal linguaggio delle sequenze, trasparente e senza fronzoli nell’azione, la narrazione scorre dinamica, concedendo poca tregua allo spettatore. L’impianto barocco così ricreato tiene un gran ritmo e trasuda orgoglio ed esaltazione imponente (agggiungerei pure prepotente), coadiuvato da una fotografia scura con massiccio uso di CG e Chroma Key per ridurre i costi a soli 60 milioni di dollari. Orgia estetica per gli occhi (senza dimenticarsi le orecchie 🙂 ), lo spettacolo è appassionante e funziona. Supporto ben calibrato dallo score ma avrei preferito toni da kolossal.

Deve essere considerato più un film d’azione che storico e poco importa se si cenerà all’Inferno o all’Ade come nel doppiaggio italiano. Perchè questa è Sparta!
Epico ed imperdibile.

The Fountain L’albero della Vita.

Fountain Poster
La Morte come atto di Creazione è il tema ricorrente nell’opera ultima di Aronofsky. Il regista di PI (il teorema dell’impossibile) e Requiem for a Dream ancora una volta ci porta dentro un’ossessione: la ricerca dell’eternità. Desiderio bramato da sempre a cui si deve contrapporre inevitabilmente il limite della stessa natura umana dettata dal corpo e la mente, il ciclo della vita non si può piegare per quanto ostinazione e scienza possano correre in aiuto. E’ la paura della Morte che si deve vincere e non la Morte stessa. Il regista per non vedere smarrito il messaggio di fondo ha apportato tagli nel montaggio riducendo la durata a funzionali ’96 minuti (oltre le due ore era previsto) e narrando con intensità raffinata il suo innato talento visionario nonostante possa lasciare smarriti per via dei tre piani temporali in cui si snoda la vicenda. Partiamo fin da subito a chiarire: non è un film per la critica (pressapochista, a volte sembra che qualcuno i film non li guardi e scriva lo stesso), tantomeno per il pubblico di massa. Un vero peccato perchè il buon cinema è quello che sa offrire storia e spunti di riflessione, che si racconta senza bisogno di stupire a tutti i costi ma lo fa con semplicità. Se poi si usa un meccanismo originale e profondo tanto meglio. Lento nel ritmo, non vi è dubbio, statico e molto new-age ma personale e intimista. Funziona tutto alla perfezione grazie a un Jackman STREPITOSO, l’elogio alla bellezza della Wiesz e Mansell che regala uno score complementare a questa storia d’amore che trascende lo spazio e il tempo.

Consigliato a chi sa guardare un film. E si lascia emozionare…