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Mirrormask

Era da un bel pezzo che non mi sparavo un film altamente stupefacente e visionario, del resto loro sono i creatori di Labyrinth e Dark Cristal ma questo Mirrormask mi era letteralmente sfuggito. Difatti è un film del 2005 che andò direttamente in home video senza passare in sala, destino in cui cadono fin troppe pellicole nel nostro paese. Niente da far gridare al miracolo come struttura narrativa, classico percorso di iniziazione e crescita della protagonista che si ritrova in un mondo magico e dovrà uscirne, della serie una trama decisamente convenzionale, ma il grosso lo fa la direzione artistica. Non si può che restare incantati di fronte allo stupefacente genio visionario messo in piedi da Gaiman e McKean. Lo stile impresso e le soluzioni impiegate sono veramente al limite di una fantasia cui raramente abbiamo la fortuna di assistere, trattandosi soprattutto di cinema indipendente. Recuperatelo!

Visioni casalinghe trashissime

Quando si tratta di horror super trash, i giapponesi non li batte nessuno!!! Per riempire la quotidianità di questo simpatico nullafacente Agosto, mi sono buttato su un filone che conoscevo ma non avevo approfondito come si deve. Mi limiterò al trittico qui sopra, se anche voi siete un pò sotto tono e avete voglia di un film che fa dell’ultra violenza splatterosa una totale forza parodistica tale da far sputtanare, rigorosamente a bassissimo costo e non dimentichiamo spruzzate di sane arti marziali, cercate su google uno dei tre titoli qui sopra seguito da streaming ita… Sì bastano questi tre, tanto per evitare la ripetitività, un pò come i j-horror una volta inquadrati i 4/5 migliori, è sufficiente. Allora sono Machine Girl, Tokyo Gore Police e Vampire Girl vs. Frankenstein Girl. E buona visione! Ah per evitare di farvi perdere tempo (ma come sono buono oggi) vi lascio con un trailer, così avete una idea di cosa vi sto proponendo ehehehe…

Harry Potter e i Doni della Morte recensione

E così tutto si è compiuto. Notato come avevo lievemente glissato lo scorso Novembre nel dire due paroline sulla prima parte dei Doni? Attendere la parte seconda, vista già un paio di volte in un weekend, mi sembrava parecchio giudizioso. Dicevo, la fine è arrivata e in modo omogeneo, pulito e rifinito come ben si addice alle conclusioni che pretendono un alto tributo in termini di uomini e mezzi impiegati (leggi circa in dollari 250 milioni di budget). La prima parte con qualche tentennamento, allungato e volutamente preparatorio con un cliffhanger d’obbligo per collegarsi alla seconda, con il suo parco di escalation, movimentato e i pezzi che si ricompongono. Visto insieme, ogni reparto ha quindi funzionato a regola d’arte. Persino gli attori e non mi riferisco agli inossidabili Smith (Minerva) o Berman (Severus), ma proprio al trio classico. Radcliffe è meno gessato del solito e con lui tutto il resto del carrozzone. Fiennies (Voldemort) pare proprio a suo agio nei panni del Villain con la V maiuscola. Riguardo la regia Yates ha traghettato le ultime quattro puntate, mantenendo un ottimo equilibrio e la soluzione di continuità necessaria per evitare sbalzi, permessi durante l’inizio della saga. Colombus era ideale per avviare i maghetti, uno specialista anche nel narrare con occhio fantastico e ricco di stupore il mondo creato dalla Rowling. Cuaron ha innestato le basi per la virata dark e ancora oggi per me resta l’episodio registicamente e stilisticamente migliore (sebbene il meno redditizio, solo 795 milioni). Funzionale la parentesi di Newell, probabilmente quella più anonima. Ma tornando a Yates non si può praticamente recriminare nulla. Ha fatto bene il compito. Personalmente una corsa senza sosta che per ovvi motivi tralascia qualcosina per strada, sopratutto nei Doni vista la mole di materiale. Nella sostanza solo i fanboy radicali del cartaceo potranno lasciarsi andare a spergiuri e sproloqui vari verso il regista britannico, ma io da spettatore esterno allo scritto, non ho proprio trovato nessuna falla. In particolar modo alla fine e con un flashback che chiude il mosaico in alcuni punti si è rivelato ben più chiaro del libro stesso. Rowling prodruttice ma dietro alle quinte ha dato mica poco una mano a Kloves in fase di sceneggiatura. Dal lato tecnico poco da disquisire. Fotografia, scenografie ed effetti speciali di forte impatto emotivo, trasportate da un taglio serrato e senza cali di ritmo. Desplat ancora una volta conduce lo score omaggiando temi dal passato, del resto Williams non si deve certo dimenticare (avete detto a King’s Cross?) e si presenta elegante ed attinente in ogni occasione, concitato ed imperioso quando serve. L’idea di splittare in due episodi ha pertanto regalato il miglior epilogo possibile. Dopo una decina d’anni si congeda Harry Potter al cinema. A parte il primo episodio me li sono sparati tutti, come fosse un appuntamento abituale. Sì dai, un pò di malinconia me la concedete?

DoX at MUBI

Mubi è una idea molto simpatica ed interessante che conosco da qualche anno, ma non mi ci ero messo seriamente sopra. Sino ad ora. Si tratta di un network sociale a base unicamente filmica, rivolta ad un pubblico di appassionati. Quindi ogni utente può farsi un elenco di film visti attingendo da un database di oltre 26 mila voci, dare un voto e se vuole una opinione per poi condividere tutto ciò con altre persone. Io ci sono arrivato a mezzo Playstation 3, in quanto fruitore del programma sulla console, automaticamente ti crea un profilo. Si conferma la migliore console per un uso non solamente videoludico, ma multimediale. Ovviamente l’integrazione con Facebook è presente, ci si può loggare direttamente con il proprio account. Mubi non ha solo questo tipo di integrazioni ma offre la visione in streaming di contenuti, pochi per il nostro paese a dir la verità (sono quasi 900) e comunque sempre attinenti al cinema indipendente. A pagamento con abbonamento oppure di volta in volta per singolo film, ci sono anche cosine gratis. Se l’idea vi intrippa venitemi a trovare, basterà un click sul mio profilo. Il quale è in costante aggiornamento. A volte non ci faccio caso, ma in tal modo posso rendermi conto che ho uno storico di centinaia e centinaia di film. Mica male!

Sucker Punch recensione

Zack Snyder è senza ombra di dubbio tra i miei registi contemporanei preferiti. 300 in primis, Watchmen su tutti. Ga’Hoole discreto. Sucker Punch è il prodotto personale della sua testa, fin dalla sceneggiatura. E’ un pazzo visionario. L’ha dichiarato lui stesso:  «la cosa più folle che abbia mai scritto» e un «Alice nel Paese delle Meraviglie con le mitragliatrici». Viva la coerenza, che fa di lui un filmmaker  genuino. Di sicuro Sucker Punch non è facilmente codificabile ad una sola visione, c’è tanta roba e di qualità. Realizzazione eccelsa, superlative scene d’azione, egregio calcolo millimetrico su ogni inquadratura e sequenza, coreografia barocca. Di stile ce n’è tantissimo. Attrici principali bellissime da vedere e brave, miscela esplosiva di azione. Un film potente. Scoppiettante. In mezzo a questo calderone, Snyder ha cercato di infilarci di tutto, di più, anche troppo. Prende spunto da film immancabili per il genere (il Signore degli Anelli, Matrix, Kill Bill per citarne alcuni), gli applica un taglio tipicamente da videogioco (e altre citazioni come i nazi-zombi di Wolfenstein ad esempio) ci infila la vendetta, il sacrificio, l’analisi psicologica. Come se non bastasse con la sua chiave di lettura e realtà parallele, dove lo spettatore è il protagonista, colui che idealmente tira i fili (cioè da la sua interpretazione). Difficile tenere incollato lo spettatore medio (che non ci capirà una mazza annoiandosi) e incanalare per bene un fiume del genere.  Mi ha lasciato così alla fine 😐 e il retrogusto di esser fine a se stesso. Sarà stata la serata, cervello a corrente alterna, che  ne so. E’ mancato qualcosa, la creatività a briglia sciolta di Snyder è stata troppo veloce. Titolo scelto azzeccatissimo. Colpo improvviso, non esiste una traduzione letterale. Aspetto la versione estesa in Bluray che concederà ampio respiro e rigorosa giustizia. In ogni caso da non perdere.

Dylan Dog – Il Film

 

Nonostante un periodo scevro e non proprio esaltante di visioni in sala (The Fighter, Black Swan), il film di Dylan Dog va per direttissima nelle file poco onorevoli delle (personali) cagate pazzesche, tanto basta per spenderci un paio di righe. Già ero perplesso quando venni a sapere della messa in moto del carrozzone nel 2008, e presumo di non esser stato l’unico. Mantenute per così dire le premesse dell’adattamento, quindi niente Londra, niente Groucho, Bloch e così via, lo sconcerto del risultato finale va oltre ogni aspettativa. In negativo. Mi chiedo con che caXXo di coraggio Bonelli e Sclavi abbiano concesso i diritti per mettere in piedi una eresia e scempio dell’opera originale sotto ogni punto di vista. Un B-Movie americano che di Dylan Dog porta solo il nome e il vestito. Piccole citazioni di rito assolutamente ininfluenti, da parte del regista come voler dire “ecco il giusto tributo ai fan” (di vecchio corso come me che lo leggeva già nel 1990). Si trova il maggiolone (NERO???), il clarinetto, il galeone. Ecco grazie al doppiaggio abbiamo il classico “Giuda Ballerino”. Nessun minimo richiamo alle atmosfere da incubo e oniriche, semplicemente un ragazzone Brandon Routh (Superman) che sebbene ci possa stare (alla lontana), incassa colpi più di Batman, volando letteralmente da ogni dove, spaccando licantropi a colpi di tirapugni d’argento. Nei panni di un vigilantes tra il mondo degli umani e il sovrannaturale. Con un bazooka non avremmo notato differenze. Un Buffy al maschile. Ben al di sotto degli standard qualitativi del telefilm. Esatto, non solo è fatto male come sceneggiatura, ricca di buchi e decisamente prevedibile, banalotta da teen-movie medio quanto rovinato da effetti speciali di seconda mano e trash plasticoso puro dei mostri usciti da film anni ’80. In passato abbiamo assistito a fumetti portati sul grande schermo con ottimi risultati (V per Vendetta, Watchmen, Sin City, 300), a volte prendendosi pure libertà ma preservando sempre lo spirito originale. Dead of Night è il peggiore insulto da fare a qualsiasi appassionato di cinema, anche per coloro fossero a totale digiuno dalle storie dell’indagatore dell’incubo, essendo veramente brutto. Alla prima nazionale del film in una sala a Roma, Munroe il regista ha dichiarato in una conferenza stampa decisamente delusa: «So bene che cosa volete dire quando mi parlate delle differenze e di quello che nel mio film non c’è. Succede ogni volta che si tenta di portare al cinema un’icona. Non potevamo certo trasferire l’intero fumetto sul grande schermo, ma abbiamo fatto di tutto per mantenerne intatto lo spirito». Verrebbe da dire “ipse dixit”, a patto di ribaltare completamente ogni sua parola. Disarmante.

The Sky Crawlers

Hai sempre la possibilità di cambiare la strada che percorri ogni giorno, anche se la strada è la stessa puoi vedere cose diverse, non è abbastanza per vivere? O invece, non può essere abbastanza?

Sì, lo so. Ci arrivo sempre lungo, ma il tempo tiranno concede meno spazi, poi ci si mette come mi scordo puntualmente di recuperare. Semmai però vi capitassero un paio di ore e abbiate voglia di vedere un bel film che vi lasci qualcosina al termine della visione, beh rimediate con questo capolavoro di Oshii, già autore di una pietrona miliare come Ghost in the Shell. L’animazione giapponese è sempre una pacca avanti,  avanguardia non solo nella tecnica ma anche nei temi sviluppati il che di fatto procura una certa indifferenza nel pubblico che associa sempre a “cartone animato”, roba per famiglie. Tantissimo qui nel nostro paese. Non li biasimo, settimanalmente arriva un prodotto di questo basso profilo, due battute, una scorreggia, un rutto e via a ridere. Vedo poco roba per famiglie, poi la mia opinione resterà pur sempre discutibile. O no? Mah dove andremo a finire… Cominciamo a malapena a sdoganare Miyazaki, sebbene le sale in tal caso sono puntualmente semideserte. Occorre quindi rifugiarsi nell’home video. Tornando a Sky Crawlers lo spunto riflessivo su cui poggia il film è la guerra vista come unico modo per mantenere l’illusione di pace, dove sono degli adolescenti a condurla mentre gli adulti sono solo spettatori. Si profila più di una semplice denuncia da parte del regista di infanzie rubate dei minori impiegati nei conflitti. Man mano che la trama si racconta Oshii mette in luce la natura dell’uomo, in un mosaico dove nulla è lasciato al caso. Una lettura impegnata e intelligente che va al di là della maestria stilistica, sulla quale non vi sono riserve. Avevate dei dubbi quando si parla di Production I.G.?

recensione Evangelion Shin Gekijōban: Rebuild 2.02/2.22

Ieri pomeriggio con il buon Berto sono andato al Grandemilia. Tra gli scaffali sempre disordinati dei blu-ray ecco che spunta il You Can (Not) Advance, ovvero secondo film cinematografico del progetto Rebuild of Evangelion, indiscusso tassello pesante nel panorama della serie principe degli anni ’90. Non avevo seguito più di tanto perchè all’epoca del primo film sapevo che si andava per le lunghe, non certo come per Kenshiro, che ha chiuso la pentalogia in pochi anni. Il progetto Rebuild consiste in una quadrilogia per riproporre Evangelion in una forma curata sotto l’aspetto dell’animazione (per stare mostruosamente al passo con  i tempi) e con l’intento di rendersi accessibile anche a coloro che non sono abituati alla serie. In pratica è una specie di reinterpretazione senza concedersi molte libertà, ma sufficiente per stimolare l’interesse dei fan di vecchio corso (che di fatto vedranno cose diverse) e accaparrarne di nuovi. Partita lo scorso 2007 avrà il suo terzo episodio quest’anno (se mantiene la prassi del biennio tra un capitolo e l’altro) e probabilmente arriverà da noi l’anno prossimo, intendo per il mercato nostrano curato come sempre da una strepitosa Dynamic Italia. Il punto è che non sappiamo quando gli ultimi due tasselli verranno messi in onda nelle sale giapponesi, se uno dopo l’altro (così pare) o se dovremmo (ahinoi) aspettare altri 3 anni per vedere la parola FINE. Se con l’alternativa al finale regolare della serie (Air/Magokoro wo, kimi ni) la visione d’insieme è talmente criptica e spalmata su più piani psicologici, in pieno allineamento con lo spirito della serie, Hideaki è ancora una volta in grado di sorprendere lo spettatore, come detto pocanzi reinterpretare l’universo “evangeliano” preparandosi per il botto di un gran finale che si preannuncia ancora una volta fuori da ogni schema. In Rebuild 1.01 il film bene o male procede secondo quanto visto con la serie regolare, opportunatamente ristretta e tagliuzzata, con l’innesto ovvio di materiale inedito. In questo 2.02/2.22 prende forma una virata degli eventi che possono solo preannunciare maestosi ed inquietanti risvolti. Magari un finale meno strizzacervelli e libero da interpretazioni, bellissimo per carità, ma lo abbiamo già. Anzi ne abbiamo già due. L’edizione curata da Dynit è superlativa, ricca di extra, copione, trailer di ogni tipo (pure quelli preparati per i treni giapponesi), scene inedite (purtroppo sono semplici prerendering). Per l’edizione Blu-Ray (e credo anche per il DVD) manca clamorosamente un trattamento da Limited come vista per l’1.01 e mantenuta in giappone. Solo le primissime copie contengono una cartolina 3D. Ma insomma, niente gadget, libretti, artwork… Nonostante questo la visione è letteralmente da mascella per terra per pulizia e sapiente incastro tra tecniche d’animazione tradizionali e CG. Chissà dove arriveremo. Cast originale, l’immancabile Shiro Sagisu con il suo score sempre potente e in grado di esaltare i momenti salienti del lungometraggio. Insomma che palle aspettare l’epilogo…

(nota a margine 2.22 è usato da Dynit per indicare l’edizione rimasterizzata e con gli extra. Non a caso la riedizione di you are not alone è battezzata 1.11)

Tron Legacy recensione

E via che è andato il primo film del 2011. Piccola premessa, Tron del 1982 resta per me un filmettino diventato di culto (per il pubblico) solo per le tecnologie visive realmente rivoluzionarie per l’epoca. Ad ogni modo ammetto come sia stato importante per il mondo del cinema. Frammentato e oscuro in origine, era un pò arduo pensare che il seguito arrivato dopo quasi trent’anni centrasse le aspettative create negli ultimi mesi. Legacy è maestoso, dalla capacità espressiva indiscutibile. Da buon appassionato, non posso far altro che inchinarmi al lavoro svolto. La “griglia” arriva in tutto il suo fascino freddo e digitale, carico di citazioni e in grado di raccogliere in pieno l’eredità del passato. Le avvisaglie di un film senza mordente arrivano ben presto, nella porzione iniziale con l’introduzione del figlio di Flynn, cui il padre è sparito nel cyberspazio videoludico da lui creato anni prima. Una ovvia forzatura per compensare chi non si è visto il precedente episodio, necessaria se vogliamo, capace di ingolfare il ritmo usata in questo modo. Il film sostanzialmente decolla una volta dentro l’universo, per poi (ri)perdersi dopo poco. Un paio di sequenze di combattimenti con i dischi, corse e fughe con le immancabili moto, qualche cazzottone a tradimento, sbordatine new-age, finale telefonatissimo. That’s all. Nel complesso il plot ha la forza della scoreggia di un topo morto, senza colpi di scena e lascia (volutamente) tante cose senza un perchè. L’alone di mistero sulle sfacettature del cyberspazio possono anche starci, lasciando quindi allo spettatore come riempire le varie lacune, se mai ne avesse voglia. Purtroppo pesa lo scarso delineamento dei personaggi comprimari, che arrivano e spariscono, senza lasciare traccia. Neanche i protagonisti comunque se la cavano degnamente. Non si può incolpare ne la produzione, ne il regista. Tron Legacy è un film per il mercato di massa e a volte penso come ci prendono seriamente (evidentemente) per lobotomizzati. Meglio lasciarsi cullare dal contrappunto musicale fornito dai Daft Punk in evidente stato di grazia, essenzialmente agevolati in un film tecnologico come questo, oppure uscire dalla sala con un completo senso di soddisfazione? Diventa sempre più difficile. Riassumendo Legacy è scontata evoluzione del Tron 1982, peccato che allora la tecnologia aveva detto la sua e lo ha rilegato a film di culto. More of the same? Oggi il panorama è ben diverso. Divertente? A qualcuno andrà lo stesso bene. Francamente a me va stretto. Poteva essere un film memorabile. Ma come detto non lo si è creduto necessario. Grazie lo stesso, Disney. Appunto conclusivo, hanno rotto il cazzo con il 3D. Continuano a forzare le visioni, in zona reggio/modena non esiste in 2D. Solo 3D. Direte, beh dove sta il problema? Presto detto, già di suo è un film “dark”, con gli occhiali diventa talmente buio da rendere ardua la normale visione. L’effetto stereoscopico praticamente inutilizzato. Mi chiedo per quanto andremo avanti con questa porcheria.

Segnali dal futuro recensione.

Un disaster movie filmato dal regista di Io Robot poteva essere una premessa a malapena sufficiente per superare Nicholas Cage. Che non abbia la forza espressiva di reggere un personaggio lo sappiamo tutti, men che meno reggere da protagonista. Tra le tante chicche segnalo il far tremare la pistola come se avesse l’Alzheimer anzichè terrorizzato, è da antologia. Non sa recitare, meno peggio del passato ma sempre ridicolo. Credo si tenga l’angoscia dentro e non ce la mostra su schermo, deve esserci un motivo. Caso perso e caprone. Peccato perchè Alex Proyas da solo non ce la fa e ci mette del suo. Incorente e disomogeneo in più punti, terribilmente scombinato nelle ultima porzione. Sembra male assemblato. Non mi sento però di sbattere nelle ortiche Knowing (titolo originale altro che segnali dal futuro), ci sono sequenze spettacolari e ben realizzate, l’idea numerologica che fa da ossatura alla storia è carina, il finale distruttivo e inquietante calza bene. Ma è abbastanza evidente che da Proyas sarà dura rivedere una perla come Dark City. Evitabile.

Anamorph recensione

Oramai i thriller a base di killer seriali hanno come modus operandi il Se7en (1995) di Fincher: ambienti luridi, buio spezzato dai fasci delle torce, omicidi brutali che vanno oltre lo slasher, disturbati, ritualizzati, malati, che compongono un puzzle lucido e psicotico nel loro insieme. Ciò non solo nel cinema come i vari Saw o il recente The Horsemen, ma anche nei telefilm alla CSI e Criminal Minds, insomma oramai abbiamo uno standard di fabbrica per questo genere. Il punto di vista è la chiave di lettura di Anamorph che nello schema dello psicopatico di turno risulta azzeccato e funzionale: l’anamorfosi sovverte il piano visivo e ci ricorda che c’è sempre un’altra angolazione, sottolineato fin dai (bellissimi) titoli d’apertura. Il canovaccio regge ma ha punti oscuri e qualche contraddizione, sorretto fortunatamente da un buon Dafoe. Il personaggio viene reso troppo chiuso nella sua ossessione maturata dopo la presunta uccisione del serial killer, consumato dal non essere riuscito ad evitare la morte di una ragazza (usata praticamente come esca) a cui era affettivamente legato. Dopo cinque anni di pausa ritorna (o emula? La concessione del dubbio è legittima) a uccidere riassemblando i corpi in veri e propri quadri alla trompe l’oeil, con all’interno un messaggio che verrà solo colto nel finale. Come detto il personaggio è chiuso, consumato dai flashback a tal punto da risultare insopportabile, centro assoluto di ogni sequenza che a tratti si distacca dalla trama in una noiosa analisi intimista. Andando in questa direzione la spalla di turno è praticamente inesistente e mal caratterizzata così come la protagonista femminile, dell’assassino a malapena ne vedremo il volto e non sapremo niente di lui. Ovviamente non è obbligatorio conoscere il seme delle sue folle gesta, ma il “troppo niente” non funziona, i pezzi non si compongono. Così il finale sembra azzeccato ma non culmina e convince come dovrebbe, per quanto onirico e inquietante, smarrisce e scivola via senza lasciare il segno, come tutto il film.

Harry Potter e il Principe Mezzosangue recensione.

Ancora una volta esco soddisfatto dall’ultima trasposizione per il grande schermo della saga Potteriana, rimanendo un pò perplesso quando in giro si legge (o si sente) il solito fanboysmo che spara a zero, in rigoroso e maccheronico essemmessese, del perchè manca una scena piuttosto che un’altra, l’inquadratura che non va bene e la noia mortale perchè non ci sono i combattimenti. Torno a dire che un adattamento da libro a film non risulterà mai fedele, anzi fin da subito è nell’intenzione dello sceneggiatore (e del regista). Si tirano fuori centinaia di milioni di dollari per metterlo in piedi e di tale avviso lo sono sia produttori che la stessa Rowling: questa scelta porta sempre i suoi frutti, che piaccia o meno. Ad ogni modo chiusa la parentesi, Kloves torna a stendere il penultimo capitolo con le solite libertà e sacrifici per renderlo fruibile ai meno avvezzi del cartaceo e sì, diciamolo, anche per contenere i costi. La responsabilità resta alta perchè si deve introdurre la conclusione, splittata in due parti per favorire gli anni fiscali della Warner (19 Novembre 2010 e 15 Luglio 2011) che si poggiano su singoli blockbuster da 900 milioni di media. Devo dire che non ho trovato falle narrative nè tantomeno mi ha infastidito la virata verso i conflitti sentimentali dei protagonisti, più dell’universo dark su cui poggia la vicenda (comunque equilibrato nella narrazione e in grado di stuzzicare la visione). Anzi devo confessare che questo tipo di cambio diverte e coglie uno spirito del romanzo rimasto sempre in disparte. In pratica si sono voluti preparare i fuochi d’artificio oramai prossimi così realmente “tutto non sarà come prima”. Tecnicamente parlando grandi elogi, fotografia e impianto scenico sono una vera gioia per gli occhi e regalano sequenze spettacolari e memorabili. Il taglio di Yates non sfigura, confermando di saperci fare e garanzia visto che chiuderà la saga. Insomma non resta che aspettare la conclusione.