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Ken il Guerriero: la Leggenda di Raoul.


La leggenda di Raoh II: lo scontro senza fine

Se vi siete chiesti che fine abbia fatto la leggenda di Julia, poco male: è recuperabile in qualche scaffale perchè destinata al mercato home video. Scelta condivisibile vista la cortissima durata e per una visione dell’ultimo generale di Nanto, di utile contorno per gli appassionati ma francamente poco incisiva nella sua interezza, non a caso in giappone è un OAV, ovvero un anime creato appositamente per l’home video. Riassumendo l’intera pentalogia è strutturata in modo che il terzo capitolo è a tutti gli effetti un film per il cinema, poi ci aspetta un altro OAV (Toki, in giappone è uscito a marzo 2008) e infine l’ultimo film, (Kenshiro, uscito in giappone a ottobre 2008). Bizzari i jappi! Ecco così che Mikado ci porta in sala la leggenda di Raoul e come ci suggerisce il nome la storia vede le strade del Re e del Maestro di Hokuto incrociarsi per giungere allo scontro finale. Stavolta assistiamo a meno combattimenti (comunque presenti in giusta misura e spettacolari, condita della solita violenza) più sostanza narrativa e la rivelazione di chi è effettivamente l’inedita Reina vista nel primo episodio. A conti fatti l’attenzione si sposta solo nella porzione conclusiva della prima serie TV (e uno scorcio sull’Isola dei Demoni), coprendo un lasso temporale meno ampio lasciando spazio al dovuto omaggio alla figura di Raoul, una analisi intimista del Re. Piaciuta l’animazione ma ho trovato maggiore spettacolo in Hokuto, ad ogni modo funzionale e senza eccessi. Come per Hokuto non si concedono sconti a chi mastica poco delle gesta del fumetto/anime, pertanto una piccola rinfrescata si rende necessaria. Per tutti i fan un immancabile appuntamento.

Uomini che odiano le donne recensione.

Non ho mai letto un libro di Stieg Larsson. Ad essere onesti non leggo praticamente mai dei libri in generale, figuriamoci se si tratta di opere che vengono poi trasposte a film. Da un lato non è poi un così grosso difetto, ammetto che la mancanza permette di non dover valutare se adattamento sia più o meno riuscito, aderente e cose del genere. In effetti temo sia questo il motivo di una critica non proprio entusiasta leggendo in giro. Cominciare a separare il cartaceo dalla celluloide dovrebbe essere oramai il minimo prima di entrare in sala siccome per ovvi motivi non si riuscirà mai a fare un film in grado di accontentare tutti i lettori, i quali si sentono delusi e smarriscono lo sforzo nel preservare l’idea originale dell’autore, qui fortunatamente presente. Per inciso non parliamo di picchi di eccellenza, la summa massima di originalità, ma la trasposizione è ben confezionata, il puzzle della storia scorre senza intoppi e non si corre il rischio di perdersi dei pezzi per strada, il che per un thriller è il minimo. Troviamo un ritmo teso a non annoiare e in grado di suscitare curiosità quanto basta per vedere come andrà a finire. Insomma un ottimo film, cruento quando serve ma meticoloso e che consiglio di andare a vedere in questo periodo un pò avaro di uscite interessanti.

Terminator 4: Salvation recensione.

Nel tempo dei grandi reboot, mancava il ritorno del cyborg inplacabile per eccellenza, Terminator. Lasciando perdere il terzo episodio, coreografico ma senza un briciolo del carisma necessario a farsi ricordare (a parte gli sviluppi per la trama), il genio visionario di Cameron ha regalato nel passato una visione prossima alquanto preoccupante e plausibile di uno scontro uomo/macchina culminato con lo sterminio di massa per mano di Skynet, super cervellone militare che prende autocoscienza e decide di pensionare l’umanità cremandola con tante belle esplosioni nucleari. Nei film precedenti si è assistito ad invii di cyborg indietro nel tempo per cambiare il futuro, dove Skynet ha pensato di eliminare il grosso problema della resistenza umana che ha un leader di nome John Connor: prima ha tentato di terminare la madre, poi Connor da adolescente ed infine da giovane. Il reboot con la tag più scontata del mondo (la fine ha inizio), ci porta tranquillamente nel 2018 in piena guerra dove per farla breve Connor dovrà salvare una persona chiave del suo passato. Il film diciamolo fin da subito è tecnicamente ben realizzato, discretamente serrato e accessoriato di artifizi tipici del genere (esplosioni, scene d’azione) ricco di citazioni quanto basta e in grado di svelare alcuni particolari rimasti oscuri ai fan più esigenti (tipo le cicatrici di Connor). Purtroppo la sostanza complessiva viene a meno su trama e dialoghi, scontati e poco originali. Una spallata arriva di fronte ad incongruenze grossolane (chi vuole può leggersi alcune mie seghe da fanboy su Movieplayer), colpa dei tanti tagli subiti in fase di montaggio. Il film risulta debole e l’accoglienza del pubblico (leggi incassi) non proprio entusiasmante mette in dubbio il proseguio della saga (sono previsti due ulteriori seguiti), nonostante un buon Bale e tutto il cast abbastanza credibile. Da vedere per gli amanti del genere e appassionati degli endoscheletri metallici, gli altri possono lasciar perdere, compreso un cameo (digitale) di Schwarzenegger…

Star Trek XI

Ed eccomi qui bello fresco fresco da anteprima. Cominciamo subito con il mettere in chiaro che i fan di vecchio corso potranno andare tranquilli alla visione. J.J. è sempre stato un grande appassionato e ha trattato con grande rispetto e omaggio i canoni classici della serie (noterete tante piccole chicche come la Kobayashi), dando però una spinta in più. In effetti la prima parte (dopo l’esaltante scontro con la nave Romulana capitanata da un bravissimo Erik Bana) mi aveva lasciato freddo, troppo fracassone e casinista, mi sono detto figuriamoci il resto. Invece l’incipit è servito per preparare il terreno, a far capire che Kirk è il capitano votato all’azione d’istinto, espansivo, noncurante delle regole se necessario. Lontani anni luce dalla razionalità di un Picard, elegante e posato. Con lo stile alla Kirk (ri)troviamo la chiave di volta, tutto il film è scoppiettante ma non solo botte da orbi e distruzione, un pò di ironia che non guasta e una mezza sequenza di quasi sesso, quanto una bella trama ricca di risvolti temporali che riassumono in ogni senso la tagline “Il futuro ha inizio”. Poco importa se i membri dell’equipaggio fantascientifico più amato della storia faranno il loro ingresso con l’accelleratore, concedendo poco spazio allo scavo psicologico. Sono bravi e credibili, al tempo stesso Abrams mantiene il giusto equilibrio in grado di accontentare il pubblico che sa cosa vuol dire la logica vulcaniana quanto essere totalmente profani all’universo trekker. Prendendosi le solite libertà senza strafare (come lo Slusho, paradossi temporali alla Lost, il mostrone lontano parente di Cloverfield e tanto altro…) e con un taglio registico eccellente in grado di tenere il ritmo per tutta la durata, senza cali nè banalità. Insomma il quartetto dei Bad Robot (Abrams, Orci, Kurtzman e Lindelof) non hanno deluso le aspettative ma forniscono di linfa vitale un franchise che andava avanti da più di trent’anni e sembrava non avesse carte ulteriori da giocare. Come Shatner diede il testimone per un nuovo filone di film trekkiani per il grande schermo in Generazioni, Nimoy eterno protagonista della serie battezza questo inizio: svecchiato, con stile, una ripartenza a massima curvatura! Da non perdere.

Max Payne recensione.

Mah. Insufficiente. Un tie-in (si usa ancora dire così?) imbarazzante che cerca in malo modo di mixare i due videogiochi usciti anni or sono, rivedendo alcuni punti in maniera fin troppo discutibile (allucinazioni di demoni alati?!?). Ad ogni modo importerebbero poco alcune libertà, se ci fosse della sostanza. Premessa. Max Payne era un ottimo shooter (avventura in terza persona) in salsa John Woo/Wachoski (azione violenza il primo, bullet time i secondi), un vero botto all’epoca. Un comparto tecnico e fisica soddisfacente contrapposta ad una trama lineare, poco originale e assolutamente scontata. Però con i suoi momenti di brivido, con i suoi tempi. Certi scavi psicologici funzionano bene nei propri contesti, trasportare un videogioco a film porta quasi sempre a disastri perchè in sala non ci possiamo stare minimo 4 ore di fila. I meccanismi dilatati sono accurati e permettono di tirare fuori risvolti caratterizzando i personaggi quanto basta, lasciandosi coinvolgere. Qui invece tutto corre senza filo e soprattutto senza una base solida perchè sacrificata all’azione. Nemmeno molta ad essere onesti. Il vero disappunto è che non si è nemmeno provato a lavorarci al soggetto. Le potenzialità per un buon risultato c’erano, sprecate nonostante l’ottimo impianto tecnico, ambientazione ben resa. Almeno questo. Ma a fine visione si coglierà poco della natura di Max, di Mona, pure i fortunati che ci hanno giocato anni fa. E se lo dice anche il CEO di 3D Realms, state tranquilli sul verdetto “evitabile”.

the orphanage recensione

Ghost story per niente scontata ma ricca di spunti interessanti. Ci deve aver creduto anche Guillermo del Toro per aver prestato il nulla osta a questa produzione dell’esordiente Bayona, il quale in poco più di una oretta e mezza ha creato una buona alchimia fatta di chiari omaggi al cinema di Amenabar (the others), Shyamalan (sesto senso) e talento nel modellare la struttura della trama che regge punto su punto. Horror non direi, nemmeno thriller, piuttosto un lento ed inesorabile scavo psicologico dove il passato riaffiora in un terribile incubo e Belén Rueda ci rende perfettamente a disagio (in senso buono) con la sua interpretazione, sostenuta da un ambientazione/scenografie da brivido e l’impianto musicale squisitamente inquietante. E’ bene mettere in evidenza che i meccanismi per creare il contorno fatto di tensione e paura sono un pò telefonati, un pò abusati (della serie i soliti clichè). Bilanciare illusione e realtà può regalare sufficienti emozioni, e in questo “l’Orfanato” riesce molto bene. Il consiglio per uscire soddisfatti a fine visione resta non fermarsi alla superficie metafisica (il lato horror/paranormale) ma lasciarsi condurre verso il celato dramma interiore dei protagonisti.

changeling recensione

Dico fin da subito che la visione non mi sfagiolava nemmeno un pò. Una storia vera (salvata appena in tempo da Michael Straczynski) con teatro la Los Angeles anni ’20 corrotta fino ai vertici e una madre che lotta contro questo potere per riavere il suo vero figlio. Dal mio punto di vista il canovaccio è di marginale interesse. Ma alla fine il buon Clint lo si va sempre a vedere, perchè resta uno dei grandi registi viventi in circolazione. Fuori discussione. Sarà coadiuvato dai soliti amici come Tom Stern alla fotografia o Roach al montaggio che garantiscono il risultato visivo. Vuoi perchè le splendide e malinconiche musiche son sempre sue, che pennellano un cinema ben caratterizzato ed inizialmente lento. Lento a tal punto che non nego un pò di smarrimento. Poi come ci ha abituati, arriva il destro nello stomaco, con una svolta imprevista che riprende temi già esplorati ma sempre di grande forza emotiva come la pena di morte, la violenza verso i più deboli, lottare. Man mano che i pezzi si mettono insieme viene fuori tutta la completezza riflessa in uno stile impeccabile, dalla regia pulita e classica, retto da un cast sapientemente orchestrato tra cui spicca una Jolie in grandissima forma. Eastwood conferma se stesso e continua ad andare a caccia di Oscars, ma nemmeno questa è una novità, non certo per l’acclamo generale a Cannes.
Chiaramente imperdibile.

Vicky Cristina Barcelona recensione.

E quindi? La prima cosa che mi è venuta in mente appena partiti i titoli di coda. Completamente inutile non solo per Allen, quanto nullo il contributo apportato al cinema in generale. Se con Match Point (io continuo a dire che non l’ha fatto lui) eravamo su inaspettati e piacevoli livelli, ci è voluto un paio di film per tornare alla nostra vecchia conoscenza. Personalmente non c’è debacle totale, Cassandra’s Dream era riuscito bene, peccato per la sagoma di Farrell. Il principale errore consiste nel voler girare un film all’anno, con una parabola discendente verso l’oblio. O scazza attori, o scazza il soggetto o peggio recita. Allen proprio non ce la fa più. Non è esser prolifici, ma sprecare preziose risorse. La pellicola costa. Potevano girarlo a Roteglia o Sassogattone che non cambiava nulla. Il triangolo amoroso è stato scavato decisamente miliardi di volte, dipinti su ambienti molto romantici per sfuggire dalla quotidianità, un falso affresco. Così come ci si ritrova i soliti clichè: il figo bohemienne seduttore, ex moglie, due amiche per la pelle con il loro approccio all’amore opposto, la natura umana e i rapporti personali, la borghesia annoiata. Cioè Allen che propone sempre il suo cinema: stereotipato a buco. Basta. Il cast è convincente, fotografia e regia non discuto ma è tutto qui. E così mi prendo i giusti dubbi su come mai qualsiasi prodotto partorito dal “geniale” regista americano puntualmente finisce venduto come cinema colto e qualitativamente superiore. Stronzate. E’ un cinema vecchio, rintronato, con il solo fine di masturbare l’ego lanciando la perenne frecciata all’America che a ragione lo ha buttato nel cesso (nemmeno velato ma palese in una sequenza). Non vogliamo girare pagina. Mentre noi in Europa continuiamo ad osannarlo, sarebbe meglio pensare di tirare lo sciacquone e terminare con dignità la sua carriera, oramai su questo blog l’ho detto tante volte… Insomma se non avete le palle perchè avete paura di sfigurare con i vostri amici che si spacciano per cineasti (quando presumibilmente hanno nel loro repertorio culturale tre o quattro film), lo faccio io.

Babylon A.D. recensione

Per partire con Vin Diesel in un film di fantascienza che ritrae un probabile e inquietante futuro, bisogna mettere in conto che non sarà un filmone indimenticabile, nè lascerà segni negli annali a venire. Un sci-fi da tanta azione, un buon cast, una settantina di milioni di budget. Però insieme al soggetto di partenza, Babylon Babies, ci sono ottimi elementi per trarne un film che si lascia guardare e magari in grado di regalare qualche sorpresa. Niente. Il “thriller dell’anno” come recita il trailer rivela un Babylon A.D. assolutamente piatto e compresso da risultare inconsistente. Le 600 pagine da cui proviene sembrano ridotte ad albo allegato a un numero speciale… In pratica nessun punto della trama viene sviluppato e in 90 minuti il film vola chissà dove lasciando di stucco. Vorrei soffermarmi sullo stucco, perchè il comparto tecnico è realizzato molto bene e come già detto c’erano le premesse per lavorarci sopra, ghiotte e interessanti, difatti qualcosina si scorge. Dopo una rapida ricerca in rete scopro che in realtà il pasticcio è frutto proprio del produttore, ovvero la FOX, dove lo stesso Kassovitz (il regista) punta il dito e bolla inesorabilmente il film come “pure violence and stupidity” e “parts of the movie are like a bad episode of 24.” Purtroppo ha ragione, lo stucco diventa così amaro per una occasione buttata alle ortiche.

recensione Wall-E.

Orpo boia che diamine ci fanno delle impressioni su un film in CG di produzione americana? Puntualmente evitati, bistrattati, sputati sopra da quando mi fecero ingoiare Toy-Story e Monsters & Co., qualche sprazzo di merda Shrek, Incredibili e altri che non ricordo. Cinema abominevolmente banale, comicità volgare, confusionaria, esasperata. Poi ci lamentiamo se i bambini sono una latrina di volgarità e ignoranza. Da allora Pixar o Dreamworks sempre evitati come la peste. Di fronte a miriadi di post, lettere, commenti, critiche e osannato a testa bassa ancor prima di averlo visto, la mia vorrebbe essere fuori dal coro, ignorata come solito oppure condividere un paio di spunti. Wall-E è un film per adulti. Perlomeno adulti molto piccoli. Sentire il boooong di un Mac quando Wall-E si ricarica, l’evoluzione della pittura che sottolinea i momenti importanti della storia nei titoli di coda, la palese citazione a 2001 dal navigatore robot uguale ad HAL 9000, con una differenza speculare rispetto a Kubrick, dove l’uomo riprende il controllo sulla macchina, sono figatine che notiamo solo noi grandi e forse non tutti, diciamo grandi che masticano un pochino di cinema, chiamiamole “fighettinate” colte. Passerà in secondo piano il messaggio di denuncia velatamente teso ad avvertire come può andare il mondo a puttane, potenzialmente nella spazzatura ci finiamo anche noi. Al resto del pubblico fregherà un tubo, perchè si commuoverà di fronte agli occhi da cane bastonato di Wall-E che per quanto mi riguarda possono emozionare, grazie a una tecnica sbalorditiva in grado di infondere personalità in maniera incredibile ma non fanno un capolavoro. Non lo è. Un buon film, non un capolavoro. Piuttosto finirà cancellata nel cesso la prima parte da brivido, senza dialoghi e gestita in maniera tale da farmi dire “cazzo questa volta è un gran colpo”. Invece rimarrà nella memoria quando arrivano i terrestri (e garantirà un bel calo), perchè funziona nel ritmo e diverte, il trucco per riportarlo su binari commerciali, nel perfetto canovaccio di “come ci si fotte il capolavoro”. Binari inevitabili: volare troppo in alto prima o poi ti bruci e con i soldi che girano rimetterci la faccia non è il massimo. Così si applaude al pre-finale visto 238237489 volte circa, forzato e inutile come un palo nel sedere, e ATTENZIONE NON PARLO dell’immancabile happy ending. Chiaramente non lo posso spoilerare ma è l’ennesima fozatura messa lì per fare leva, un pò come gli occhioni dolcioni di cui sopra. I quali farebbero bene a guardarsi i tanto bistrattati “cartoni animati per bambini” made in Japan, di tutt’altra forza e spessore. Si intende la mia opinione non vuol dire “è un film da cioccolataio”, anzi andateci al cinema. Ma tenete a mente quello che vi ho detto.

Ken il Guerriero: La leggenda di Hokuto.


La Leggenda di Raoh: Martiri dell’Amore

Sarebbe stato un imperdonabile erorre lasciarsi sfuggire la possibilità di vedere al cinema il lungometraggio di uno tra i personaggi più famosi dei “cartoni” animati anni ’80. Kenshiro è entrato prepotentemente nel collettivo all’epoca con la sua storia fatta di ideali, onore, sangue, violenza, arti marziali, corpi esplosi, personaggi enormi e cattivissimi. La Leggenda di Hokuto però non è una trasposizione pari pari della vicenda come la conosciamo, quanto un salto diretto alla saga della Piramide del Sacro Imperatore, incentrandosi sulla figura di Raoul, il maggiore dei tre fratelli di Hokuto e le motivazioni che spingono il Re alla guerra per conquistare il mondo e fondare un nuovo ordine. Un cambio di prospettiva importante per infondere nuova linfa alla serie apparsa 25 anni fa. L’introduzione di personaggi inediti come Reina (scomodato Tsukasa Hojo, City Hunter, per l’occasione) ben si integrano nella storyline ma per ovvi motivi di tempo (90 minuti) gli sceneggiatori hanno dovuto comprimere (sembra di guardare il film con il fast-forward) e togliere di mezzo elementi più o meno importanti che possono lasciar spaesati chi non ha la visione complessiva (manga, serie TV) del mondo post atomico di Buronson e Hara. L’anime originale costruito attraverso tanti episodi, unico meccanismo in grado di dare profondità psicologica e meticolosità agli eventi, possono rendere a prima vista “La leggenda” sbrigativo e monco ma ricordiamoci che è il primo di una pentalogia. Il posto per Shin, Julia, la genesi di Ken e molto altro troveranno sicuro spazio in futuro e solo al termine avremo una soddisfacente visione d’insieme. Caratteristica fondamentale la riflessione dei dialoghi piuttosto che il lato puramente gore e truculento (sapientemente dosati), scelta giusta per renderlo godibile e non una sequela di combattimenti, uattattà inutili e alla lunga noiosi. Tranquilli, non mancheranno le celebri frasi alla “sei già morto ma non lo sai” oppure i post-punk schicciati dagli zoccoli di Re Nero, qui elevati a puro omaggio per i fan storici. Come animazione restiamo su altissimi livelli, il look è stato aggiornato (passa un Raoul con capelli bianco platino?) pur restando fedele al classico. Punto di vista eccepibile, compresa la BGM (background music) non invasiva in grado di sostenere i momenti salienti (chicca per gli appassionati lo spolvero di YOU HA SHOCK, tema originale della prima serie), doppiaggio italiano professionale e ben adattato. Lode quindi a Yamato Video e Mikado Film, già coraggiosi nel portare sul grande schermo il celebre Castello di Cagliostro e tentare così di uscire dai soliti Miyazaki, Satoshi Kon, Rin Taro, nomi di garanzia ma piccoli spot di fronte all’enorme produzione animata giapponese. Una politica che fortunatamente trova riscontro in termini di incassi tanto da portare al cinema anche i restanti episodi. Evviva!

Il Cavaliere Oscuro recensione.

Il restart di Batman da parte di Nolan confluisce (dopo aver gettato le basi nell’ottimo Begins) in uno scavo psicologico che ha ben poco da invidiare alle tante trasposizioni cinematografiche del genere. In poche parole ci troviamo di fronte a un risultato mastodontico, imponente, senza cali di tensione (altissima e palpabile) confermandosi come l’Episodio di grande forza emotiva e narrativa che ogni fan aspettava, ma anche da coloro che si aspettano del gran cinema. Qualitativamente ricco nella regia, nella tecnica, con scene e battute memorabili, nella storia qui spessa, matura e importante. Non è un filmetto dark hollywoodiano fracassone da 150 milioni di dollari. Siamo lontani dai canoni fumettistici Burtoniani (il confronto con il Joker di Nicholson è inutile), a dire il vero siamo lontani da una trasposizione fedele al fumetto (come la nascita di Due Facce), siamo di fronte a una vera e propria opera dove le certezze vengono demolite e plasmate, dove nessuno si salva. La lucida follia del caos muove il Joker, da sempre il personaggio più amato, ora di fronte in tutta la sua potenza visiva, mosso nei suoi ideali, reale personificazione del male (merito di un inarrivabile Ledger, qui l’oscar postumo sarebbe un riconoscimento alla memoria lodevole), vero cancro di Gotham, cancro figlio dalla stessa città, l’antitesi perfetta di un Batman che comincia a dubitare di se stesso, in un certo senso mostro allo stesso modo.
Non vado oltre. In mezzo al piattume di questi ultimi tempi, il Cavaliere porta una vera e propria sferzata in sala come non si assisteva da tempo.
Andatelo a vedere!